5 Marzo. Giorno 117. Il giorno dell’illuminazione.
Il giorno dopo, il quinto di ritiro e il 117° di viaggio, dopo pranzo, il ragazzo di nome Boi attira di nuovo la mia attenzione. Ha finito il libro, vuole ringraziarmi, e gli piacerebbe conversare con me sui temi che entrambi abbiamo appena letto.
Perché no? Mi stavo annoiando a morte, in fondo.
Distesi sui materassini, facendoci basso scudo del mio zaino, iniziamo a parlare a voce bassissima. Discutiamo una buona mezz’ora di filosofia, di religione, e di svariate altre cose profonde. Un paio di volte il maestro ci sente e ci rimprovera, ma questa conversazione è la seconda cosa più interessante di questa settimana, almeno per me, e non ci rinunciamo.
D’un tratto, Boi resta pensieroso per qualche istante.
“Sai, sei una persona molto ragionevole, e hai pensieri molto lucidi”, mi dice.
“Per forza!”, penso io, “sono cinque giorni che non ho altro da fare che schiarirmi le idee!”, ma non dico nulla, curioso di sentire il seguito.
“Tra pochi minuti dobbiamo andare a meditare, ma più tardi mi piacerebbe farti una domanda a cui penso da tanto. Non mi aspetto che tu mi dia la risposta, ma sono sicuro che ragionando assieme a te, potrei imparare qualcosa di nuovo. Che ne dici?”
“Volentieri, ma adesso sono curioso. Dimmi qual è la domanda, dai. Poi ne parliamo.”
“Ok… secondo te qual è il senso della vita?”.
Mm.
Mi pone la domanda con la stessa leggerezza con cui io avrei chiesto ad un amico se ha voglia di andare a bere una birra. Immagino di essere rimasto un po’ imbambolato, con un mezzo sorriso ebete stampato in faccia.
“Prego?”.
Forse non ho sentito bene.
“Si… secondo te cosa ci stiamo a fare al mondo? Abbiamo uno scopo? Lo dobbiamo trovare? Che senso ha… tutto questo? Ma ora andiamo, dai. Proseguiamo dopo”.
Avevo sentito bene.
Quello che avviene in seguito rimarrà nella mia memoria per sempre.
Io e Boi ci alziamo, e ci dirigiamo diligenti verso la sala di meditazione. Mi siedo su una delle sedie di plastica che da tempo hanno sostituito i cuscini di meditazione. Chiudo gli occhi, cercando di ritrovare le maree del mio respiro.
Trovo tutt’altro.
Quel ragazzo mi ha appena rivolto una domanda che ha sfidato le menti dei più grandi pensatori di ogni tempo, e ha eluso ogni risposta convincente. Ha rivolto “la grande domanda”, a fil di voce dietro uno zaino, a me, persona in cui ha riconosciuto una buona dose di ragionevolezza. Ma sarà sufficiente per trovare una risposta?
Si.
Boi ha visto giusto. La mia sfera delle percezioni, che per così lunghi giorni mi sono sforzato di imprigionare alla punta di uno spillo, immobile sul mio respiro o sul mio passo, esplode.
I miei sensi raggiungono il cielo, abbracciano le nuvole, il sole e le stelle.
Inondano la terra. Avviluppano l’intero pianeta, inghiottendo in un sol colpo oceani e montagne, boschi e pianure.
Estendono i loro confini al di là del tempo, oltre il passato e il futuro.
In un sol colpo di pensiero racchiudono in sé stessi la luce e il buio, l’oscurità e il fulgore che non può morire.
Per un solo attimo, un singolo istante assoluto, vedo tutto con chiarezza. È un magnifico dipinto così sconfinato da richiedere un punto di vista infinitamente lontano per comprenderne l’interezza.
In quel frammento di tempo, allungo una nuda mano verso il cosmo, e afferro quello che posso.
Qualcosa finalmente si rompe dentro di me.
La fonte dei pensieri si ingrossa. Diviene un fiume in piena, abbatte argini, dighe e ponti. Trascina a valle con sé ostacoli, obiezioni, paure.
Mi alzo dalla sedia in preda a una eccitazione mai provata prima. Non devono essere passati più di cinque minuti da quando mi sono seduto. Mi allontano in velocità, senza preoccuparmi di dare nell’occhio. Fuori dalla sala, volo verso i dormitori, prendo dallo zaino il mio diario di viaggio, prego che la penna funzioni, e inizio a scrivere più velocemente possibile.
Non sono io che produco questi pensieri, non il solito io, quello che conosco.
Le parole scorrono senza sosta. Io mi limito a registrarle su carta, vedendole per la prima volta nel momento stesso in cui le scrivo. Sono solo un copista, uno strumento, vetro trasparente al flusso di pensieri che originati chissà dove si gettano a capofitto sulle pagine del mio diario.
L’unico limite è la mia velocità di scrittura.
Mi sento come un navigatore in una tempesta, un turbine troppo impetuoso per poter pensare di governare il mio guscio di noce. L’unica possibilità per non essere travolto dalla corrente è abbandonarmi ad essa, e cavalcarla fino alla fine.
Non so dire per quanto ho scritto, e quanto ho raccolto di quest’improvvisa piena.
Troppo poco di sicuro.
Quando chiudo il diario, però, mi rendo conto di aver scritto la risposta alla domanda che Boi mi aveva appena fatto.
Quello che non so ancora, invece, è che quelle parole sono le istruzioni per il mio futuro.
Credo di sapere a cosa state pensando. Vi dirò qual è stata la mia risposta? Ma certo! Eccola qui: riguardava un cavatappi!
Non vi lascerei mai con la curiosità dopo che avete avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qui! Ma vi prego di attendere un altro po’, il racconto non è ancora terminato! C’è anche un epilogo!
Photo by NASA Goddard Space Flight Center
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“