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Possiedo dunque sono

Tempo di lettura stimato : 5 minuti

Ha senso comprare e possedere oggetti che restano inutilizzati per il 93% del tempo?

Premessa: scusate l’assenza.

In questo ultimo periodo, quando non ero distratto dai normali problemi terreni e da strade rivelatesi a una seconda occhiata non così giuste come erano apparse alla prima, mi sono dedicato con dedizione alla lettura (e scrittura) di romanzi di fantascienza, allontanandomi con il pensiero dai temi più comuni di questo blog.

(A proposito, mi trovate su Goodreads, sia come autore che come lettore)

In realtà ho poi scoperto che la fantascienza, quella di un certo tipo almeno, è un ottimo bacino per domande e risposte che si integrano bene con quanto ho scritto finora.

Quasi tutti i miei articoli si basano su un punto di vista personale e centrato su sé stessi: cosa fare per essere felice, per non avere paura, per difendersi dagli altri, come trovare la propria strada giusta. Però qualcuno potrebbe alzare gli occhi e chiedersi: e poi? Sto cambiando me stesso, e già questo è un ottimo risultato, ma… e il resto del mondo? Qual è la strada giusta per il mondo?

Ho scoperto così che moltissime riflessioni mantengono la loro validità se estese a nuclei più grandi. È qui che entra in campo il “futurismo”, inteso come lo studio di ciò che è possibile e forse farà parte del nostro futuro.

Mi piacerebbe inaugurare una sezione di articoli dedicati alle prospettive future, iniziando proprio con questo.

Attenzione, però: per entrare nel futuro, anche se solo immaginato, è necessario lasciare sulla soglia quello che riteniamo scontato nel presente. A volte non è facile, ma fa parte della sua bellezza.

Fine premessa.

Possiedo dunque sono

La prima riflessione “futurista” che vi voglio proporre parla dei concetti di “possesso” e di “utilizzo”.

Ognuno di noi possiede molte cose: vestiti, oggetti, utensili vari. Crescendo collezioniamo sempre più cose, come se il possesso di quegli oggetti marcasse il passare del tempo. Le case vecchie sono le più piene.

L’intera umanità si è evoluta attorno al possedere, al punto che in determinati contesti è quello che possiedi a definirti. Hai un certo tipo di macchina o di vestiti? Allora sei un certo tipo di persona. In alcuni casi, finiamo per “affezionarci” alle cose che abbiamo, dimenticando che sono solo… be’, cose.

L’istinto al possesso probabilmente arriva da molto lontano, quando, poco più che animali spaventati, vivevamo in un ambiente ostile e con poche risorse, per cui cercavamo di avere il nostro cibo, la nostra pozza d’acqua. “Avere” significava sperare di sopravvivere.

Oggi le cose sono ben diverse: mi compro un trapano perché così non devo andare a chiederlo al mio vicino di casa quando mi serve. Voglio possedere un oggetto per poterlo utilizzare quando e come voglio.

“Possesso” e “utilizzo” però non sono concetti strettamente legati, infatti in determinati contesti è molto comune anche il noleggio o l’affitto. Se vado al mare posso noleggiare pinne e maschera, o una barchetta, oppure una tavola da surf.

Uso quegli oggetti, ma non mi conviene comprarli, perché poi li userei troppo poco, e costano troppo rispetto a quanto li userei, e poi non so dove metterli e…

E il trapano di prima, allora?

Ho un bel trapano, fermo nel suo scaffale. L’ultima volta l’avrò usato sei mesi fa. Vivo in un condominio di tredici appartamenti e sono pronto a scommettere che entro queste mura ci sono tredici trapani, tutti fermi nel loro scaffale.

Avete già capito dove voglio arrivare?

Ho pagato quel trapano con soldi, ottenuti spendendo tempo della mia vita, e ora è lì, fermo, inutilizzato, a occupare spazio nella mia casa che è troppo piccola, e sto pensando di passare in una casa più grande, così potrò metterci dentro più cose, ognuna della quali resterà ferma e inutilizzata per la quasi totalità della sua esistenza.

Le nostre non sono case, sono magazzini di oggetti fermi.

Abbiamo creato un mondo in cui le persone passano la maggior parte del loro tempo a lavorare, per prendere soldi che spenderanno in cose che staranno quasi sempre ferme. E per mantenere in moto questo mondo, siamo arrivati alla società della super-produzione, dei bisogni inutili, dell’usa e getta, dell’obsolescenza programmata (vedi recentissimo e scandaloso caso delle batterie degli Iphone).

Non c’è da stupirci se poi non sappiamo più come smaltire i rifiuti, se siamo sempre più disperatamente affamati di energia e risorse e se, mentre le nostre case si riempiono, le nostre esistenze sono sempre più vuote.

Ha davvero senso pagare per “possedere” tutti gli oggetti che abbiamo, o in moltissimi casi potremmo accontentarci di pagare “solo” per il loro utilizzo?

Oggi non esiste (che io sappia) un servizio noleggi trapani, ma se esistesse? Se con un tocco potessi far apparire in pochi minuti un trapano professionale a casa mia, corredato di tutte le migliori punte, e potessi pagare solo per i pochi minuti in cui lo utilizzo, per poi restituirlo alla comunità di zona perché venga usato da altri? Quanto risparmierei, in termini di denaro e di spazio vitale in casa mia?

Qui però non si parla di soli trapani: estendiamo il concetto.

Secondo uno studio di Harvard, l’americano medio (scusate, non ho trovato una statistica italiana) passa 100 minuti al giorno in auto, e questo vuol dire due cose. Uno: l’uomo medio sta in auto il 7% del proprio tempo, che è tanto. Due: l’auto media sta ferma per il 93% del tempo, che è tantissimo! Soprattutto considerando che quell’auto è stata pagata dieci, venti, trentamila euro, magari con anni di rate, senza poi contare assicurazioni, tasse, bolli, riparazioni, manutenzione, carburante, e che dopo dieci anni non vale più un cazzo.

Eh, però come faccio a rinunciare alla “mia” macchina? È parcheggiata davanti casa, ci sono le mie cose. E poi è mia, c’è il mio odore dentro…

Per avere una macchina con il proprio odore dentro, però, siamo finiti ad averne due ogni tre persone, in Italia, e passiamo ore nel traffico, ore nello smog, ore al semaforo, ore a cercare parcheggio.

Non è un sistema che funziona: vi rendete conto di cosa succederebbe se anche tutta la popolazione mondiale decidesse di volere un’auto a testa per sentirci il proprio odore dentro? Ci sono già un miliardo di auto al mondo, dove cazzo le mettiamo i sette miliardi che mancano?

Allora mi chiedo: se esistesse un efficientissimo sistema di trasporto condiviso o pubblico; se con un click potessi avere davanti casa un veicolo fresco, pulito, efficiente e controllato, magari diverso a seconda dell’esigenza di quel momento; se potessi pagare solo per l’effettivo utilizzo, tutte le volte che voglio, per tutto il tempo necessario, avrebbe ancora senso possedere un’auto propria?

Se bastasse dichiarare all’intelligenza artificiale domestica che tra cinque minuti mi servirà un frullatore, e mentre mi sto lavando le mani il frullatore condominiale ultimo modello esce da uno scomparto, perfettamente pulito e sterilizzato, avrebbe ancora senso fare la coda da Euronics perché mi si è rotta la lama e non so dove comprare il pezzo di ricambio?

Ecco l’idea futuribile: sganciarci il più possibile dall’idea di possesso, che tanto non siamo più animali spaventati, e arrivare a un sistema in cui si paghi solo l’utilizzo. Pagare per usare, non per avere.

Meno sprechi, meno produzione, meno inquinamento, meno ossessioni e contemporaneamente più spazio, più tempo, più libertà. Come diceva qualcuno, “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Ma se non possiedi niente?

La lascio così, come una domanda aperta. Questa visione offre tantissime interessanti prospettive, ma ce le teniamo per i prossimi articoli “futuristi”. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Il mio nuovo romanzo!

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Avventura | Mistero | Riscatto

“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“

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Gennaio 9, 2018 - Futurismo

Sulla Strada Giusta

Il viaggio è negli occhi, nel cuore e nella testa, e non finisce mai.

Da una scogliera a picco sul Mar Glaciale Artico, un uomo respira finalmente la libertà. Intorno ha solo il silenzio e davanti l’orizzonte, infinito e limpido. Appena qualche mese prima non l’avrebbe mai creduto possibile. Aveva trentun anni e un lavoro stabile: il sogno di molti, ma non il suo. Così un giorno ha detto basta e si è messo in cammino su sentieri sconosciuti, per cercare una risposta ai confini del mondo, senza ancora sapere se quello alla vita di prima sarebbe stato un arrivederci o un addio. Dal Sudamerica a Budapest, dall’India alla Scandinavia, tra paesaggi mozzafiato e momenti di intima condivisione, Francesco vive esperienze inattese che gli mostrano chi è davvero, un giorno dopo l’altro. Lontano da casa o tra la propria gente, l’importante è mettersi in gioco. Dopo il successo del blog Wandering Wil e i tantissimi lettori incontrati in Rete, Francesco Grandis è riuscito nell’impresa di pubblicare la sua storia. Sulla strada giusta è un “urlo nel silenzio” per svegliarci dal torpore della routine e ricordarci che se non insegui la felicità non avrai chance di trovarla.

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Francesco Grandis

Francesco Grandis
Francesco Grandis, in arte Wandering Wil. Vagabondo del mondo e della vita dal 2009, ma solo part time. Ex ingegnere, ex programmatore nomade, oggi scrittore, editore e padre.
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Sulla strada giusta
Il libro di Francesco Grandis

IFALIK – Il mio nuovo romanzo

THE END – Distopico

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