Alla fine dell’articolo della scorsa settimana ho scritto una frase che uso spesso: “non chiedetevi se avete abbastanza coraggio, chiedetevi se avete abbastanza paura”.
Lo scopo di quelle parole è dare una visione alternativa al comune pensare: per superare un momento critico della propria esistenza a volte non serve armarsi di solo coraggio. Se sono riuscito a fare “il salto” e a reinventare in qualche modo la mia vita, infatti, è stato grazie alla paura che provavo per la mia condizione.
Giustamente qualcuno si chiede: ma se oltre a mancare il coraggio, mancasse anche la paura?
In quell’articolo parlo di fiamme, di un mondo che va a fuoco, di una vita che brucia. Ma mica tutti sono così disperati, o vedono le cose in termini di “vita o morte”.
Vi svelo un segreto: nemmeno per me era così, inizialmente. Me la sono cercata.
Ragazzi, parliamoci chiaro. Avevo un buon lavoro, una casa, una macchina. Riuscivo a risparmiare abbastanza e mi potevo concedere anche qualche lusso. Stavo relativamente bene dove mi trovavo. Certo, sapevo di poter trovare di meglio, ma non potevo dire di stare davvero male. Non ero felice, d’accordo, ma nemmeno disperato. Vivacchiavo.
Non avevo il coraggio di mollare la mia piccola zona di confort. Sapevo cosa avrei perso, ma non sapevo cosa avrei trovato. Così aspettavo che le cose si sistemassero da sole. Proprio così: ci sono caduto anche io nel limbo dell’attesa.
Eppure qualcosa dentro di me mi diceva che le cose non si sarebbero mai sistemate, e che quel lavoro sarebbe stata la mia fine. Era una voce insistente, e ogni giorno diventava più forte e credibile.
Sapevo di dover fare qualcosa, ma allo stesso tempo non lo volevo fare.
Finché mi venne un’idea.
C’era una questione importante che non avevo mai affrontato a lavoro. Evitavo l’argomento, come quando non vogliamo andare dal dottore perché sappiamo perfettamente che ci darà cattive notizie.
Andai dal mio capo e gli chiesi: “Che prospettive mi offri per la mia crescita professionale ed economica?” In altre parole: voglio più responsabilità, o voglio più soldi.
La parte più codarda di me si sarebbe accontentata di qualsiasi cosa, pur di non abbandonare le poche sicurezze che avevo. Vedevo la crescita professionale come una cura per la noia che mi uccideva ogni giorno, ma avrei accettato anche un contentino economico. Sì, il Wil di cinque anni fa avrebbe continuato a svendere il suo tempo per solo qualche soldo in più.
Invece il mio capo rispose più o meno così: “Francesco, il mondo è appena entrato in crisi economica. I clienti sono pochi e non possiamo rischiare. Per quanto riguarda le responsabilità, ho paura che ti toccherà fare le stesse cose per un altro po’ di tempo. Per un aumento, soldi non ne ce ne sono.” In altre parole: non cambierà una virgola per tutta la prossima era geologica.
Questa era la risposta che temevo di più, ma era esattamente ciò di cui avevo bisogno. Una condanna alla noia, al tempo che scorre senza lasciare traccia, all’inutilità. Le mie illusioni di sicurezza crollarono, distrutte dalla paura che io stesso avevo voluto scoperchiare. Quando avvenne, una parte di me provò solo un infinito e inconfessabile sollievo.
Non cercai di controllare la paura, ma la lasciai crescere senza controllo, abbracciandola come il male necessario per curarmi. Divenne terrore, poi depressione e infine lacrime. Solo quando toccai il fondo, trovai la forza di risalire. Saltai dalla scogliera e guarii.
E questa è la morale di questa storia:
Photo by emmafeir
PS: non so se ho mai ringraziato il mio capo per la risposta che mi diede e per non aver tentato di trattenermi con qualche promessa. Lo faccio ora: grazie.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“