Spiaggia di Koh Maak, piccola isola tranquilla nella parte est del Golfo di Thailandia.
Rispetto alle altre isole che ho visitato in questa zona, qui è tutto più selvaggio, più silenzioso, più calmo.
Il sole scalda la pelle e accende ogni sera splendidi tramonti di fuoco.
La notte è buia e la brezza tiepida porta dal mare il verso lontano degli uccelli, e il dolce tintinnio delle catenelle di conchiglie appese qua e là.
Alberi e placide palme giacciono distese sulla sabbia morbida, come tanti gatti addormentati.
Alla loro ombra, trovo spesso riparo dal calore e una silenziosa serenità, mentre mi fermo a osservare il mondo che filtra dalle grandi foglie.
Gli unici esseri frenetici qui sono i piccoli granchietti, che rovistano curiosi e instancabili nella sabbia e fuggono buffi e rapidissimi al mio passaggio.
La vita, qui, cammina scalza.
Potrei interrompermi ora, e immortalare questi paesaggi in una splendida foto da cartolina, il classico paradiso tropicale da far invidia a tutti.
Invece no.
Perché appena fuori dal riquadro della mia foto ideale, lì sulla spiaggia bianca, lungo la linea della risacca, resta qualcos’altro da descrivere.
Ce n’è per tutti i gusti, sapete? Bottiglie d’acqua, confezioni di succhi di frutta, lattine di birra vuote, scarpe spaiate, ciabatte, cappelli, tubetti di crema, lampadine rotte, reti da pesca stracciate, sacchetti di plastica, posate di carta, fiale di medicinali, occhiali, imballaggi, pneumatici…
Ad ogni marea che si alza e si abbassa, quintali di rifiuti sono vomitati sul bagnasciuga. Come un regnante severo ma giusto, il mare scarica al di là dei suoi confini ciò che non gli appartiene: la nostra spazzatura, la nostra inciviltà, la nostra incuria.
E lì rimarrà per anni, a sbiancarsi al sole, perché su questo lato dell’isola non sono ancora stati costruiti i lussuosi resort, non sono ancora stati assunti i giovani thailandesi che, muniti di pazienza e rastrello, ripuliranno ogni giorno i cento metri di spiaggia antistanti l’albergo, e solamente quelli, giusto in tempo per l’arrivo dei grassi turisti.
Questa volta non la voglio fare una foto stretta.
Non voglio chiudere nel mio obiettivo solo la sabbia bianca e le palme, per poi ostentare a tutti un incanto che in realtà non ho mai visto e che non esiste neppure, non più almeno.
Noi stiamo avvelenando l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo.
Allora io voglio allargare il punto di vista, e fotografare anche la polvere ammucchiata sotto al tappeto, per ricordare a me stesso e a chi legge queste righe che in verità non siamo mai stati scacciati dal paradiso terrestre.
L’abbiamo reso un inferno noi.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“