Se qualcuno ha visto i miei video, “Il lavoro di essere felici” e “Sette passi attorno al mondo“, potrebbe anche ricordarsi che in entrambi accenno ad una esperienza particolare fatta durante il giro del mondo. Un’esperienza centrale che mi ha cambiato la vita. Eccoci arrivati al racconto di quella parte del viaggio.
Dopo quasi venti giorni di Thailandia, ne ero semplicemente nauseato. Troppo turismo, falsità, alcool, prostituzione… ma anche dentro di me si agitava qualcosa: ero nervoso, triste, angosciato, e non riuscivo a trovarne una spiegazione plausibile.
Oggi mi piace pensare che ero semplicemente pronto per il passo che mi aspettava, e poiché niente accade per caso, era necessario che io fossi disgustato dal paese in cui mi trovavo per trovare la forza di presentarmi al mio appuntamento con il destino.
Il primo marzo, dopo 112 giorni di viaggio, ho abbandonato la via dei turisti, le bancarelle e le spiagge affollate, per infilarmi una intera settimana in un tempio buddista, a meditare nel più completo silenzio e rigore.
E in quel silenzio e in quel rigore, io ho trovato la mia strada e la mia luce.
Nelle prossime settimane arriverà il racconto dettagliato di quella incredibile esperienza. Queste invece sono le emozioni, raccontate in parole, di quei giorni inquieti in cui mi spogliavo della veste di viaggiatore per mettermi alla ricerca di qualcosa di più profondo.
Giorno 112 – Bangkok.
Ai primi di marzo arrivo a Kao San Road, “la strada dei backpackers”, i turisti con lo zaino. Per il momento faccio finta che mi vada bene, ma tra qualche giorno annoterò mentalmente di evitare in futuro tutto ciò che ha la parola “backpacker” nel nome o nella descrizione: questa via è praticamente il ghetto in cui ogni giorno si rinchiudono volontariamente migliaia di “farang” (come in Thailandia sono chiamati gli occidentali), che giocano a fare i grandi viaggiatori. Me compreso.
In pieno centro antico della capitale thailandese cammino fianco a fianco con svedesi, canadesi, francesi, australiani, inglesi. Siamo tutti bancomat con le gambe. Qui si mangia un pad thai per 80 cent di euro; basterebbe fare centro metri per uscire dalla strada e pagarne 50 dietro l’angolo. Ci si taglia i capelli per due euro, invece di uno. Qui si comprano collanine di finto artigianato e magliette dalle scritte sagaci per far vedere agli amici a casa che si è girato il mondo (io ne ho prese tre). Qui i “farang” giocano a biliardo, guardano le partite di calcio dell’Inghilterra e bevono birra. Praticamente quello che si può fare a un paio di km da casa, con solo un leggero aroma thailandese a rendere la farsa quel tanto più verosimile da placare la coscienza.
Io ho tentato di vedere qualcosa di più, giuro. Ho cercato di graffiare la superficie rimessa a nuovo e verniciata di fresco, ho provato a vedere cosa c’è sotto.
Cosa ho trovato?
Non molto, a dire la verità.
Ho imparato a cercare strade nuove, quelle poco battute, inesplorate. Come quando i “farang” andavano dritti, e io ho girato a destra, in quella vietta oscura e ignorata da tutti. Sono sbucato in un sorprendente e nascosto mercato di amuleti, nemmeno segnato sulla cartina, ed ero l’unico occidentale.
Tutto qua. Otto giorni a Bangkok: imparato poco su di me, ancora meno sulla Thailandia. Deluso, me ne vado.
Quindici giorni dopo sono già di ritorno.
Sono di fronte al Wat Mahadhat, un tempio buddista che si trova a solo qualche isolato da Kao San Road, ma ne è lontano anni luce.
Non indosso magliette divertenti questa volta, né collanine o braccialetti. Solo vestiti bianchi che indosserò per i prossimi sette giorni.
Non ci sarà più chiasso: non ci è concesso parlare.
Non ci sarà niente da vedere: non ci è concesso uscire.
Non ci sarà distrazione: si dorme, si mangia, si medita. Si pratica la disciplina e l’austerità degli otto precetti buddisti.
Senza esitazione, entro. Questa è la strada nuova, quella poco battuta, inesplorata. E’ arrivato per me il momento di graffiare una superficie diversa, di iniziare un nuovo tipo di viaggio.
Cosa ho trovato?
Credetemi, talmente tante cose che non basterebbero le parole di dieci articoli per descriverle tutte. Ma arriveranno. Nei prossimi giorni, con calma, proverò a raccontarvi cosa si prova a fare il turista dentro la propria anima.
Il racconto è arrivato! Si chiama “Il tempio, il libro e la domanda” e lo trovi pubblicato in parti qui!
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“