Esiste la sfortuna? O la fortuna?
Davvero la nostra sorte è responsabilità di un’entità invisibile su cui non abbiamo alcun controllo, qualcosa che ci vede e comanda i fili dei nostri eventi, obbedendo a meccanismi a noi sconosciuti?
Oppure siamo piuttosto noi che di fronte a quegli stessi eventi, diamo un colore alla loro casualità, a seconda che questi ci siano favorevoli o meno nell’immediato?
O addirittura, non è che stiamo forse cercando ancora una volta delle scuse per giustificare le nostre mancanze?
Certo, se tiro un dado ed esce il numero perdente, potremmo anche chiamarla sfortuna, ma se perdo il portafogli? O un aereo?
Beh, lasciamo pure la domanda senza risposta, per adesso, ma lasciatemi dire che io ho una certezza: la sfortuna in mano ad un uomo forte può diventare fortuna.
L’ho capito il 4 Febbraio 2010, in una stazione della metro in cui non avrei dovuto mettere piede.
Aria gelida sulla mia faccia. Non mi sono ancora abituato a questo freddo. Lo zaino mi appesantisce i passi, mentre entro di corsa nella stazione della metro tra la 53° e Lexington Avenue, schivando piccoli cumuli di neve.
Sono a New York, ma avrei dovuto essere a Hong Kong.
Sulla piattaforma tra i binari, un uomo solitario dall’aspetto alquanto povero suona con una chitarra classica ritmi latini, ignorato da tutti.
Da quasi tutti.
Le sue melodie riscaldano in me l’affetto per il continente sudamericano che ho lasciato solo ieri, e salutato con un arrivederci.
Prendo dal portafogli una manciata di monete statunitensi, un paio di dollari in tutto, e aggiungo una moneta da 500 pesos cileni. Una moneta che qui non serve a nulla, ma io vorrei benedirla, vorrei farla diventare un portafortuna.
Mi avvicino all’uomo, lascio le monete nella custodia della sua chitarra, poi lo guardo negli occhi. “Good luck, man”, gli dico, “Buona fortuna, uomo”. Mi ringrazia e mi sorride. Forse sono la prima persona che gli ha parlato oggi.
Mentre continuo ad ascoltare le sua musica, ripenso a quest’ultima settimana…
A Viña del Mar, in Cile, uno svedese tonto di nome Aron si lascia fregare le chiavi dell’ostello in cui dormo anche io. Due furfanti entrano alle sei del mattino e si portano via un po’ di cose di valore, tra cui il mio cellulare.
All’isola di Pasqua affitto uno scooter con Naoko, giapponese, e passiamo la giornata in esplorazione. Alla sera, troppo stanchi o troppo rilassati dalla birra ghiacciata bevuta in spiaggia, perdiamo le chiavi del veicolo. Passo uno paio di ore al freddo, e l’indomani dobbiamo condividere una spesa di qualche decina di dollari per l’inconveniente.
Transitando all’aeroporto di New York, affaticato del viaggio e ammorbidito dalla presunzione di essere ormai un viaggiatore stagionato, smarrisco il passaporto. Perdo il mio volo, devo rifare il documento, passare la notte in città e tutto l’imprevisto mi costa quasi 200 dollari.
Davvero, per un po’ ho ceduto al pensiero di aver passato una settimana sfortunata, di essere stato colpito dalla mala sorte. Eppure, cosa ho realmente perso?
Cose, che posso ricomprare. Una manciata di soldi. Un po’ di tempo. Un giorno a Hong Kong.
Ma cosa ho ricevuto? Esperienza. Una piccola lezione di buon senso e di umiltà. Una passeggiata fredda e piacevole per Manhattan.
Lo scambio è giusto, il bilancio è equo: non sono stato sfortunato. Non ho perso niente che abbia realmente un valore, e il mio viaggio prosegue, sempre positivo, sempre emozionante.
Il treno che mi porterà verso l’aeroporto si ferma alla stazione. L’uomo con la chitarra si volta appositamente per salutarmi con la mano.
Gli sorrido.
Good luck, man.

Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“