Dopo quattro giorni qui, oggi sono riuscito a meditare davvero, almeno per un po’. Mi sono abituato quasi del tutto al ritmo giornaliero, ai pasti e al silenzio, e l’evento di ieri mi ha donato forza sufficiente a superare le giornate senza impazzire dalla noia.
Oggi ho anche fatto la mia “camminata” più lunga e più lenta!
Di che si tratta? La meditazione fatta camminando consiste nel suddividere il passo in un numero crescente di movimenti (fino a sei), e osservarli uno a uno con il pensiero, senza distrazioni. La preferisco a quella da seduti, soprattutto quando mi sento di cedere al sonno o ai dolori causati dall’immobilità.
Io però, da bravo ex-ingegnere e studente indisciplinato, ho dovuto come al solito creare una mia variante, un piccolo trucchetto che mi ha permesso di entrare con più naturalezza in uno stato di meditazione profonda, da cui la prima volta ne sono uscito dopo più di trenta minuti. Nel frattempo avevo percorso… appena trenta metri! Non male!
La mia nuova capacità è comunque una cosa occasionale, e anche una mezzora perso nel mio passo è poca cosa rispetto al programma di dieci ore di meditazione giornaliera. Per la maggior parte del tempo, finisco in realtà a pensare a me stesso.
Per i più disciplinati tra noi, questo posto può essere davvero un luogo in cui esercitare la concentrazione e imparare a focalizzarsi; per altri, soprattutto i più anziani, immagino sia un posto dove comprare “crediti” da presentare al creatore dei buddisti, prima di essere riassegnati alla prossima vita.
Tutte le religioni sono uguali, più o meno, e nei loro fondamenti non si discostano molto dal modo con cui una madre corrompe il figlio indisciplinato: comportati bene, e dopo ti compro un gelato. Sii un bravo cristiano, e andrai in paradiso. Sii un bravo musulmano, e nell’aldilà avrai un botto di vergini. Sii un bravo buddista, e ti reincarnerai in un principe.
Sempre la stessa solfa, tanto nessuno può tornare indietro a raccontare se è vero. Almeno il gelato è autentico.
Questo posto per me è diverso. È un posto in cui ascoltarmi, perché non c’è nient’altro da sentire; è un posto in cui osservarmi, perché non c’è altro da vedere; è un deserto in cui raccogliermi e cercarmi, senza la paura della vera solitudine o le difficoltà della natura selvaggia, ma senza la distrazione della vera compagnia.
Non so cosa otterrò da questa esperienza, ma ormai non mi sembra più una cattiva idea; al massimo sarà un aneddoto divertente da raccontare agli amici al mio ritorno.
Nel frattempo, comunque, la noia rimane micidiale, l’ho già detto?
Mentre ero steso sul mio materassino, durante uno dei turni di riposo di ieri o l’altro ieri, mi sono ricordato di avere con me un libro.
Me lo aveva regalato la ragazza con cui avevo litigato proprio la sera prima di partire per il tempio (vedi parte terza).
Si intitola “No religion”. È un libricino di trenta pagine al massimo sul tema della fondamentale uguaglianza tra le religioni o qualcosa del genere (che novità…), una distribuzione gratuita che la ragazza aveva ricevuto da un monaco, e di cui avevamo parlato nel pomeriggio prima del litigio.
Non credo mi sia permesso, ma ho iniziato a leggerlo. Non un granché, ma meglio di niente, per passare qualche ora. In fondo in certe occasioni della mia vita ho letto anche le etichette dei bagnoschiuma, in assenza di meglio.
Verso sera, accade un’altra cosa del tutto imprevista.
Per come mi sono sistemato nel dormitorio, il mio materassino è visibile solo ad un altro partecipante al ritiro, che dorme tra me e il muro. Proprio lui, un ragazzo di forse venticinque o trent’anni, attira la mia attenzione.
Vuole parlarmi!
So di violare le regole del ritiro, ma… oh beh, cosa può capitarmi di male? E poi mi sto annoiando a morte come al solito, quindi…
Il ragazzo parla in un ottimo inglese, il che mi sembra già curioso. Sussurrando mi spiega di chiamarsi Boi, ed è uno studente di teologia. È la prima volta che partecipa a uno di questi ritiri, e a partire dal secondo giorno, voleva andarsene (mi suona familiare).
Qualcosa lo ha trattenuto, però: io. Gli è capitato di notarmi durante i pasti (d’altra parte sono uno dei due stranieri, e in mezzo a questa gente scura di pelle e capelli spicco come una margherita su un tavolo da biliardo). Di nascosto ha osservato la determinazione con cui trangugiavo i miei pasti, pur non riuscendo a nascondere del tutto il mio disgusto (vedi parte sesta). Questo gli ha ricordato l’anno in cui ha vissuto in Australia (ecco perché parla inglese così bene) e di quanto sia stato difficile per lui integrarsi e costringersi a mangiare cibo occidentale, che odiava. È riuscito quindi a capire bene le mie difficoltà, dopo avermi visto nella sua stessa situazione passata, invertita. Dove trovavo la forza per sopportare oltre al silenzio e la noia, anche il cibo? Se ci riuscivo io che partivo svantaggiato, doveva farcela anche lui. Ed è rimasto.
Mi sono sentito lusingato e fiero di me: ero addirittura stato sprone per qualcuno, un fulgido esempio di caparbia risolutezza e di pia sopportazione. San Francesco da Bangkok, in pratica.
Boi però non ha violato il precetto del silenzio solo per complimentarsi con me; e per fortuna, aggiungerei. Il ragazzo ha notato il libro che ho lasciato a fianco della palla di magliette che uso come cuscino. Conosce l’autore di fama, e anzi, ha letto tutti i suoi libri, visto che lui appunto studia teologia, ma quello in particolare non gli è mai capitato tra le mani.
Posso prestarglielo?
“Ma certo, nessun problema”, gli rispondo, “l’ho appena finito. Anzi, sai una cosa? Puoi tenerlo: è stato regalato a me, e io sono contento di regalarlo a te.”
Ci vorranno molte mesi da oggi per rendermi interamente conto di cosa è appena successo, e di che importanza quel piccolo libro abbia in tutta questa storia. Lo ripeto, perché ogni volta che ci ripenso faccio fatica a non credere che sia stata tutta una enorme macchinazione dell’universo.
L’unica persona nel dormitorio che poteva vedere il libro sul mio cuscino è un ragazzo che parla inglese, è rimasto al ritiro perché ha visto il mio disgusto durante i pasti e ha compreso la mia situazione, ed è uno studente di teologia che conosce quel particolare autore di fama e ha letto tutte le sue opere, tranne proprio quel libro. Il libro che mi ha donato senza spiegazioni una ragazza con cui avevo litigato, la ragazza che avevo incontrato per caso in aeroporto a Chiang Mai e di cui non mi interessava nulla, ma che mi ero comunque imposto di sedurre, al solo scopo di riprendermi dalla depressione inspiegabile che mi aveva colpito in Thailandia, dopo la serenità del Sudamerica.
Voi siete liberi di pensare quello che volete. Per me, il libro aveva fatto la sua parte nel mio destino. Ora mancava solo una cosa…
Photo by Davide Simonelli

Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“