C’è mio figlio qui sul divano. Lo guardo e gli dico, tutto serio: “Da grande farai quello che vuoi fare, Michele. Musicista? Va bene. Commercialista? Va bene. Meccanico? Va bene”. Lui, indifferente, continua a sorridermi e a mordicchiare i suoi giocattoli.
Poi mi rendo conto di quanto stupida sia questa cosa. Vorrei comunicare a mio figlio un’idea di libertà, e poi cado come uno sciocco nella trappola di pensare che da grande lui possa essere definito da una sola etichetta, guarda caso una professione.
Perché? Se mi guardassi io, ora, che cosa sono? Sono un blogger? Sono uno scrittore emergente? Nemmeno io lo so. Ma anche fingendo che io oggi possa davvero usare il nome di “scrittore”, potevo vent’anni fa decidere di iscrivermi alla facoltà di lettere, scrivere racconti, partecipare a concorsi? Per arrivare alla stessa definizione avrei potuto seguire un altro percorso, ma sarei la stessa persona? Sarei “Wandering Wil”? Avrei pianto, o avrei visto i tramonti ardere sui laghi della Svezia? Non credo proprio.
Io non sono un’etichetta, tanto meno un mestiere. Sono quello che ho fatto, quello che ho pensato, le mie decisioni e le loro conseguenze. Sono un ragazzo che ha studiato ingegneria, che poi ha fatto il giro del mondo, che poi ha cercato la felicità, che ha viaggiato e che ora sta provando a scrivere qualcosa che abbia un senso. Ma sono anche tutto quello che c’era prima, e tutto quello che non è mai stato raccontato.
E a 37 anni suonati, con un bimbo di cinque mesi che in questi giorni sta imparando a fare le pernacchie, non saprei ancora cosa rispondere se mi chiedessero “cosa voglio fare da grande”.
Perché, dovrei saperlo?
In realtà io so benissimo cosa voglio fare della mia vita, ma la mia risposta non è quella che ci si aspetta.
Io voglio essere felice. Il resto, per me, non conta. Sono solo dettagli in confronto a un obiettivo così grande e completo come la felicità, che racchiude in sé stessa tutto il necessario, ed esclude il superfluo.
Potrò considerarmi “arrivato” solo quando avrò scoperto e conquistato la mia personale felicità, e chissà, forse nemmeno allora. Quello che sento di dover fare, adesso, è cercare. La mia strada è la ricerca stessa. Lungo di essa troverò il modo di mantenermi, ma come semplice conseguenza, non come obiettivo principale. Sarà il mio “mestiere”, ma solo quello.
Da piccolo volevo avere una vita avventurosa, perché l’avventura era la mia idea di felicità. Volevo anche che la mia vita fosse “una storia bella da raccontare“. È quello che sto facendo.
In questo momento io sono già uno scrittore, ma non di libri o di articoli per un blog. Non di parole su carta. Io sto scrivendo la storia della mia vita, e voglio che sia una storia incredibile, bella da raccontare e splendida da vivere. Chi me lo può impedire?
Io sono la penna e l’inchiostro, io sono le pagine bianche: in me c’è tutto quello che serve per fare della mia vita un’opera d’arte.
Devo solo trovare le parole giuste, e le cercherò lungo le vie del mondo, o nel profondo del mio animo.
Quindi Michele, amore mio, la prossima volta che farò l’errore di chiederti “cosa vuoi fare da grande”, io spero che tu sia più intelligente di me e non mi risponda neppure.
Lo scoprirai, e io con te, strada facendo.

Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“