Dopo la meraviglia delle cascate di Iguazù, decisi di andare a Salta, una piccola città del nord ovest dell’Argentina. Ricordo che l’autobus ci mise qualcosa come 24 ore a percorrere tutto il tragitto, e non ero nemmeno riuscito a trovare posto in un autobus di classe “cama”, poco più caro di quelli normali (i “semicama”) ma con poltrone decisamente più comode, dove anche uno spilungone come me riesce a dormire. Insomma, una specie di inferno per schiena e ginocchia. Fu anche l’ultima volta che prenotai un ostello in anticipo, perché dopo aver investito gran parte del tempo di viaggio per fare amicizia con mezzo autobus, arrivati a destinazione vidi tutti i miei nuovi amici andarsene da un’altra parte, mentre io prendevo solo e deluso un taxi per l’ostello che avevo scelto il giorno prima. Essere previdente non è sempre positivo.
Salta è una città incantevole. E’ soprannominata “la linda”, ovvero “la bella”, e direi proprio a ragione! Non saprei dire se è l’atmosfera, le strade, la dimensione a misura d’uomo, la gente, i paesaggi intorno, oppure tutto l’insieme, ma Salta è stata una delle mie mete preferite, e il motivo principale per cui l’anno successivo sarei ritornato in Argentina. Nei miei dieci giorni passati li, la più lunga permanenza nello stesso posto di tutto il giro del mondo, ho collezionato più di qualche aneddoto divertente.
Per esempio c’è questa via a Salta, nella zona nord, che di sera viene chiusa da transenne e resa zona pedonale. Qui si trovano decine di bar e discoteche, e l’intera strada si riempie di giovani che rimbalzano da un posto all’altro come palline in un flipper. Ci si viene dopo le due ovviamente: prima di mezzanotte per un argentino è impensabile anche solo l’idea di prepararsi! Poi, quando arrivano le sei, e i poliziotti riaprono la via e scopano fuori tutti quanti, iniziano gli “after”, ovvero le feste private, magari in locali clandestini, per tirare avanti fino a mezza mattina almeno.
In una di quelle sere, appena uscito dalla strada come tutti, e separato dal resto del gruppo a causa di un paio di signore attempate che volevano a tutti i costi conoscere approfonditamente i miei amici olandesi (per sfuggire alle quali, detti amici son dovuti letteralmente correre via, lasciandomi solo in mezzo alla strada), mi sono ritrovato a fare amicizia con un gruppo di argentini, che dopo aver scoperto che ero italiano, mi hanno voluto assolutamente nel loro after.
Pochi minuti dopo ero seduto sul cassone di un vecchio pick-up scassato, con altri ragazzi mai visti prima (e alcuni di questi non si conoscevano nemmeno tra di loro), con cui prima siamo andati in un negozietto a fare rifornimento di Fanta e vin rosso (!), e poi a guidare fuori città, verso casa di qualcuno.
“E’ fatta”, ho pensato, “se mi succede qualcosa adesso, nessuno sa dove sono.”
Mi tranquillizzava un po’ il fatto che una delle ragazze sembrava tenere in particolar modo alla mia salute, e anche a tutto il resto probabilmente, visto che durante tutto il viaggio non mi staccava gli occhi di dosso, e ogni tanto mi sussurrava le parole “Italiano, vos me mata!” (“Italiano, tu mi fai morire”) muovendo poi la lingua con fare lussurioso e piuttosto esplicito.
Alla fine, si arriva a casa del proprietario del furgoncino, che si scopre essere anche un cantante di un gruppo folkloristico locale. Il ragazzo prende la chitarra, e inizia a suonare e cantare, e così, bevendo fanta e vino, ballando musica folkloristica, e schivando le avances più dirette dell’argentina allupata, faccio le nove di mattina.
Mentre tornavo in taxi all’ostello, sano e salvo, e con il sole già ben alto in cielo, pensavo a quanti adorassi già l’Argentina. Pochi giorni dopo, ho scritto questo.
Sono in viaggio da 40 giorni, e ho iniziato a capire come funziona. Non avverto più la solitudine dei primi giorni: ho capito che dopo ogni partenza ci sarà sempre un nuovo arrivo, so che dopo ogni abbraccio “hope to see you again” ci sarà sempre una stretta di mano “hey, nice to meet you!”. Quindi, non c’è motivo di preoccuparsi: “Estamos en vacationes!”
Eppure questa partenza mi sta lasciando il segno. Sono a Salta, in taxi. Sto andando alla stazione, dove prenderò un autobus che mi porterà verso la Bolivia. Ho gli occhi lucidi.
Ho amato Salta per questi dieci giorni in cui mi sono fermato, anche se ricordo forse la metà di quello che ho fatto: so di aver camminato tantissimo per le strade molto sudamericane, e di aver preso molti degli economicissimi taxi. So di aver respirato il fumo nero delle vecchissime automobili, e di aver rischiato di essere investito un paio di volte. Adesso mi so orientare, e so andare a piedi dalla base del Teleferico all’ostello, passando prima per un negozio in centro, senza perdermi. So di essere stato guardato spesso come un “gringo exotico”, ma mai ho avvertito pericolo. Qualche volta mi hanno confuso per un abitante. So di aver bevuto troppo, di aver dormito troppo poco, di aver ballato molto, di aver fatto cazzate a sufficienza.
Però sono sono in vacanza. Quindi: chi se ne frega. Rifarei tutto.
Salta è la prima destinazione del mio viaggio dove mi sono sentito a mio agio, dove ho vissuto oltre a essere un turista, dove ho conosciuto gente locale a cui ho fatto anche in tempo ad affezionarmi. E anche se ho altri cinque mesi di viaggio di fronte a me, innumerevoli destinazioni, altri amici, altre esperienze, questa piccola città mi mancherà.
Sono a Salta, in taxi. Sto andando alla stazione, dove prenderò un autobus che mi porterà verso la Bolivia. Ho gli occhi lucidi.
Mando un bacio e un abbraccio alla città, a Salta “la Linda”.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“