Il primo marzo 2010 entrai in un tempio di Bangkok, il Wat Mahathat Yuwaratrangsarit, per un ritiro di meditazione della durata di sette giorni. Come avrete letto nell’articolo precedente, ero nauseato dal turismo della peggior specie che dilagava in Thailandia, e sentivo il forte bisogno di fare qualcosa per me stesso.
Non avevo idea che questa sarebbe diventata l’esperienza più importante di tutto il giro del mondo, il punto focale della mia avventura, la situazione in cui trovai, come in una sorta di illuminazione, la strada della mia vita futura.
Capii proprio lì che io volevo essere felice, né più, né meno. E sapevo anche come riuscirci.
Uscii dal ritiro rinnovato fin nel profondo, con una missione, e una direzione precisa da seguire. Ero raggiante.
Quando entrai nel tempio, però, non avevo la minima idea di cosa mi stesse aspettando. Non avevo mai meditato in vita mia, e a dirla tutta, avevo sentito parlare di questi ritiri solo pochi giorni prima.
A trascinarmi in quella strana situazione ci furono tutta una serie di circostanze che, a distanza di anni, non credo fossero del tutto casuali. Forse ero destinato a quella rivelazione, forse inconsapevolmente la stavo cercando con così tanta energia da piegare gli eventi a mio favore, oppure forse erano davvero solo coincidenze.
Quale che sia la verità, l’importante è che nel 117° giorno del mio giro del mondo, il quinto di ritiro, ho trovato dentro di me qualcosa che ha cambiato la mia vita per sempre.
Un racconto più dettagliato di quegli eventi formidabili è già stato scritto. Si chiama “Il tempio, il libro e la domanda” e sarà pubblicato in parti qui.
Per adesso vi lascio alle emozionate parole che scrissi quel giorno.
Giorno 117 – Ore 13:30 – Wad Mahathat
Sono qui da cinque giorni.
Cinque giorni che non parlo, cinque giorni che non esco, cinque giorni che mi sveglio alle tre e mezza di mattina e mi corico alle nove e mezza di sera, cinque giorni che sono vestito di bianco.
Giorni scanditi dalla disciplina, dalla pratica della meditazione, dalle interminabili e per me incomprensibili lezioni in thailandese sul Dharma, la Verità buddista.
Giorni passati a camminare lentamente, assorto sul mio passo, oppure seduto a occhi chiusi, ad ascoltare il mio respiro. Un fantasma, assieme ad altri trenta fantasmi come me. Vicini, ma senza condividere nulla.
Questo luogo è diverso per ognuno di noi, credo.
Qualcuno, immagino la maggior parte, è entrato per lo scopo “ufficiale”: praticare la meditazione Vipassana. Allenare la concentrazione, focalizzare i pensieri, rinforzare la mente. Era anche la mia idea al principio, ma anche se qualcosa ho imparato, mi definirei un pessimo studente. Come al solito.
Qualcun altro è entrato con l’intenzione meno nobile di scambiare “buone azioni” con la promessa di una ricompensa nella prossima vita. Abbi fede, medita, rispetta i precetti buddisti, e alla tua prossima rinascita potresti essere ricco, magari un re. Mah… io intanto miglioro questa vita, per la prossima vedremo.
Io sono entrato qui per un altro motivo, invece, anche se ne ero inconsapevole.
Questo è un posto in cui posso guardarmi dentro, perché fuori non c’è niente da vedere.
E’ un posto in cui posso ascoltarmi, perché non c’è altro da sentire.
Sono in un deserto, senza la paura della vera solitudine, senza la distrazione della vera compagnia.
E nel buio e nel silenzio di questo deserto, i sensi diventano più acuti, le emozioni crescono potenti, le parole e i pensieri iniziano a fluire limpidi e impetuosi.
Sento chiara per la prima volta la sola voce che ha il potere e il diritto di dirmi cosa devo fare: la mia.
Nella forza primitiva che sento germogliare in me, intravedo il sentiero che vorrò percorrere. Dopo tanta oscurità, finalmente una timida luce, che mi indica una direzione precisa.
So cosa fare adesso.
Tra qualche giorno realizzerò che un conto è sapere dov’è il sentiero, un altro è iniziare a percorrerlo.
Per adesso, non ha importanza.
Per adesso, mi concedo di essere felice. Il resto… sono solo dettagli.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“