Scappo da Bangkok, convinto che il mio malumore sia dovuto in qualche modo al caos della città, e cerco un po’ di benessere in un’isola tropicale dell’est della Thailandia, Koh Samet. E’ un posto calmo, un po’ troppo turistico forse, ma la sabbia è bianca e l’acqua è limpida e calda. Incontro una turista tedesca, biondissima, e in cui trovo un sollievo tanto illusorio quanto lei è vuota. Finisco per sentirmi ancora più solo.
Scappo ancora, e arrivo all’isola di Koh Chang, un’altra maledetta trappola per occidentali: bar riempiti fino alla porta di decorazioni false e turisti ubriachi. Con un po’ di fortuna conosco una ragazza italiana, Ambra, ottima compagna di conversazione. Mi racconta sorridente di aver partecipato da poco ad un ritiro di meditazione in un tempio a nord del paese e di esserne uscita rasserenata. Lì per lì annoto mentalmente la cosa, ma in realtà non sono dell’umore per darle gran peso: mi sento sempre peggio, come un uomo che sta affogando e annaspa alla ricerca di ossigeno.
Scappo di nuovo, questa volta è Koh Maak, una spiaggia deserta e silenziosa, un bungalow a cinque metri dal mare. Niente: qualunque cosa io stia cercando, non è nemmeno qui.
Deluso, stanco e spaventato, ad ogni fuga mi avvicino di un passo all’abisso della disperazione.
Scappo anche dal mare e vado verso l’entroterra, a Chiang Mai, dove mi hanno detto che dovrei trovare una Thailandia più autentica e meno svenduta, invece è il solito schifo: birra, turisti, puttane.
Nel mio albergo incontro un’altra ragazza tedesca. E’ una ragazza molto intelligente, con cui faccio amicizia subito e chiacchiero per ore di tantissimi argomenti, anche molto elevati, ma ha un carattere spigoloso e fisicamente non mi piace. Eppure, con tutta l’idiozia di un uomo nel panico, impongo a me stesso l’obbligo di sedurla, ultimo disperato tentativo di risollevare la mia autostima, ridotta ormai ai minimi termini.
Che sia chiaro: non sono per niente fiero di quello che sto scrivendo, ma è così che è andata.
Alla sera andiamo ad una festa, io e lei, e come era ormai abitudine bevo troppo. Non so quale sia stata la prima scintilla, ma finiamo a litigare, accusandoci con ferocia di non so nemmeno cosa. Me ne vado in lacrime, e passo tutta la notte insonne, a piangere e a immaginare centinaia di versioni differenti dello scontro, incapace di smettere.
Quella notte mi rendo conto di aver toccato il fondo, mettendo io stesso una completa sconosciuta, che nemmeno mi attrae, nella posizione di ferirmi in profondità. Ma non è sua la colpa, sono io che ho qualcosa che non funziona, e non so come ripararlo.
La mattina seguente, però, faccio un curioso incontro nella sala dell’albergo.
E’ una coppia: lui sta scrivendo un libro, e lei ne corregge le bozze. Non so spiegarmi perché, ma sento un’immediata e viscerale connessione con entrambi, come una istintiva sintonia.
Chi sono queste persone?
Mi raccontano che hanno lasciato il loro lavoro ben pagato per dedicarsi alla ricerca di qualcosa di più grande, di più importante.
Mi suona familiare…
Mi parlano del libro che stanno scrivendo assieme: è la storia autobiografica di un uomo che attraversa una gioventù violenta e selvaggia, per giungere infine alla illuminazione e alla serenità.
Serenità…
Mentre parlano, la donna sembra quasi irradiare una luminosa sensazione di pace, splendida. L’uomo trasmette sicurezza e calma interiore. Trattengo a stento le lacrime di commozione che si stanno affacciando ai miei occhi mentre parlano, e chiedo loro come sono potuti arrivare a questo.
“Meditazione”, mi rispondono.
No, non può essere un caso: non avevo quasi mai sentito parlare di meditazione in vita mia, e nel giro di pochi giorni, tra i più bui della mia vita, ben tre persone me la nominano.
E sia, mi dico, il turismo in Thailandia finisce qui, tanto peggio di così non può andare. Voglio provarci anche io. Prendo contatti con un tempio di Bangkok, il Wad Mahadhat, per un ritiro di meditazione che avrei cominciato l’indomani mattina stesso, ringrazio la coppia, e compro il biglietto del treno che sarebbe partito di lì a una manciata di ore.
Poco prima di andarmene dall’albergo, la ragazza tedesca con cui avevo litigato viene a salutarmi. Non la rivedrò o risentirò mai più, non ricorderò nemmeno il suo nome, ma la sua parte nel mio destino non è ancora terminata.
Non mi chiede scusa. “Vorrei che tu avessi questo”, mi dice invece, senza sorridere, e appoggia di fronte a me un oggetto di cui avevamo parlato solo il giorno prima.
Un libro.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“