Oggi, per la seconda volta nello stesso giorno, mi sono trovato ad affrontare le argomentazioni di un “nontuttista”.
I nontuttisti sono quelli che, di fronte al racconto della mia storia, obiettano con qualcosa di simile a “non tutti hanno la libertà di fare quello che fai tu”, “non a tutti piace viaggiare”, “non tutti possono mollare tutto” e blablabla varie. Spesso aggiungono il grande classico “se tutti facessero come te, cosa accadrebbe alla società?”
In generale, le persone che si preoccupano così tanto della società e delle conseguenze delle mie terribili scelte di vita sono le stesse che la criticano appena si trovano in coda alla posta, e non gli darei troppo peso. Inoltre, alla domanda “cosa accadrebbe alla società” ho già risposto con un bell’articolo scritto nell’ormai lontano 2014, pensando che mi avrebbe tenuto lontano da nuove obiezioni. Sono stato un illuso.
Avendolo già detto in passato fino alla nausea, non vorrei soffermarmi troppo sul fatto che anche io sto lavorando, che il mio “mollare tutto” non era finalizzato a diventare un vagabondo mantenuto, che la mia libertà me la sono costruita, che la mia scelta si basava sul preferire il benessere personale alla stabilità economica (perché il benessere include di sicuro la capacità di mantenersi ma non è sempre vero il viceversa), che per “fare il lavoro che voglio” ho rinunciato a tutte le sicurezze di un lavoratore dipendente, eccetera.
Il nontuttista di turno, sempre attento difensore della società civile e del diritto dei meno fortunati, mi scrive comunque, presumibilmente grazie alla tecnologia del suo smartphone, ribadendo che la mia scelta di vita non è sostenibile.
“Eh, ma mica tutti possono fare gli scrittori o comunque il lavoro che gli piace!” mi dice. “Perché per permettere a te di fare il lavoro che ti piace ci deve sempre essere qualcuno che si sacrifica per te e fa il pane o ti cuce i vestiti. Questo è un limite della società!”
Uno dei limiti principali dell’essere umano è la mancanza di immaginazione. Era Silvano Agosti a dire:
Sono certamente schiavo anche io sotto molto aspetti: dipendo come tutti dalla necessità di nutrirmi, di ripararmi, di curarmi. Sono “costretto” a lavorare, e ho la casa piena di oggetti che qualcun altro ha fatto per me in chissà quali condizioni pietose, e da queste catene, lo ammetto, non so ancora come liberarmi.
Come potrebbe essere altrimenti? In questa civiltà ci sono nato quando le cose stavano già così. La mia colpa, come quella di tutti noi e di chi ci ha preceduto, non è stata creare a tavolino un sistema malato, ma non esserci ribellati ad esso, non aver mai detto: io non ci sto, così non va bene. Accettando il sistema gli abbiamo permesso di propagarsi, di intossicarci, avvolgerci e infine di toglierci ogni possibilità di cambiarlo.
Ma… fermi un attimo. Davvero non abbiamo la possibilità di cambiarlo?
Non posso combattere una rivoluzione da solo, e non sarò io a creare una società ex-novo. Magari potrei sottrarmi a quella esistente, rifugiarmi nella foresta, vivere di quello che produco, nascondermi. Questo farebbe felici molti nontuttisti tra i più talebani, ma non cambierebbe di una sola virgola lo stato delle cose.
C’è però una cosa che posso fare: posso ancora immaginare la libertà. E non la mia soltanto, ma quella di tutti.
In queste stesse pagine la mia scelta di vita è diventata una bandiera sotto cui già si sono raggruppate persone con idee e valori simili. Qui stiamo già cambiando la società, anche se di un nonnulla, perché siamo ancora capaci di immaginare un’alternativa, una scala di valori diversa, un mondo in cui il benessere di alcuni non vada a discapito del sacrificio di tutti gli altri. Insieme possiamo raccontare le nostre storie, per ispirare, consigliare e motivare chi vorrebbe fare altrettanto. Insieme la mia scelta non resta solo l’esemplare unico ed egoista di un uomo che se ne frega di tutto e tutti, come piacerebbe credere al nontuttista, ma diventa uno dei tanti esempi, un propotipo di vita possibile. Diventa speranza.
Io ho una visione per il futuro, uno dei tanti mondi possibili in cui ognuno sia libero di cercare la propria felicità senza affrontare i vincoli di oggi.
Immagino la pace, la cooperazione tra i popoli… e tanti piccoli robot. Vedo piccoli robot che coltivano l’insalata, la tagliano, la puliscono, la impacchettano e te la portano a casa quando non ne hai più in frigo. Piccoli robot che puliscono le strade e fanno il pane con le farine fatte da altri robot. Piccoli robot che fanno tutti i lavori più schifosi, più pesanti, più rischiosi, più ripetitivi e tutti quelli per cui non serve un’unghia di emozione o creatività, e che oggi costringono l’uomo a una vita priva di soddisfazioni. Vedo anche del lavoro che le macchine non potranno fare: vorrà dire che ce lo spartiremo tutti, ma sarà infinitamente inferiore a quello a cui siamo costretti oggi.
Questa è una delle soluzioni. Forse ce ne sono di migliori che io non riesco a immaginare, ma ci riuscirà qualcuno al posto mio. E forse anche a immaginarle non accadrà nulla e tutto rimarrà come sempre, perché l’uomo potrebbe essere semplicemente troppo stupido o egoista per capire che dobbiamo prenderci cura dei nostri simili se vogliamo sopravvivere come specie.
Ma io continuerò a parlarne, a lanciare il messaggio, e a diffondere una consapevolezza diversa perché, a dispetto di quello che può pensare l’uomo che si è già arreso, le parole hanno ancora il potere di cambiare il mondo.
Così qualcosa potrebbe accadere davvero. Non sarà sicuramente domani, né tra un anno o tra dieci, ma forse mio figlio farà in tempo a vedere il cambiamento. E per una volta, invece di ringraziare il contadino che si è sacrificato e gli ha fatto l’insalata, ringrazierà chi cento anni prima ha immaginato la libertà per tutti e due.
È uscito il mio nuovo romanzo!
THE END
Thriller distopico
Abiti in un mondo perfetto, vivi una vita lunghissima, muori il giorno prestabilito. Ma se scoprissi che il prezzo da pagare è altissimo?