Quando parlo del mio futuro, dico sempre che vorrei lavorare il meno possibile. Questo non significa, come teme mio padre, “non fare niente”. Non lavorare non significa per forza oziare. In questo articolo voglio spiegare cosa intendo.
Tempo fa, filosofeggiando al termine di una mia presentazione, un ragazzo mi disse una cosa molto interessante: con la parola italiana “lavoro” abbiamo tradotto due diversi termini latini: opus e labor.
Opus è il lavoro di ingegno, quello che deriva spontaneo dalla creatività umana, dal desiderio di creare qualcosa che prima non c’era. Labor invece è il lavoro necessario, quello che viene imposto da costrizioni esterne: il bisogno di denaro, di cibo, la mancanza di libertà.
Metto le mani avanti: non ho verificato fino in fondo l’esattezza linguistica di questa affermazione, e i miei anni di latino sono ormai dimenticati da un paio di decadi. Uso la distinzione dei due termini solo come ottimo spunto di riflessione.
L’insoddisfazione di tante persone, secondo me, è causata da giornate troppo piene di labor e prive di opus. Dal momento in cui ci alziamo per andare a lavorare, ma anche quando corriamo per andare a fare la spesa o svolgiamo una qualsiasi delle comuni impellenze quotidiane, è tutto labor. Si fa perché si deve.
Opus invece sono quelle attività che facciamo per passione anche quando siamo stanchi, perché l’opus stesso è il nostro riposo e il nostro relax. Scappare di corsa dopo una giornata di labor per andare alle prove del gruppo o in palestra a ballare? Opus.
Opus sono i nostri hobby, le passioni, i “progetti personali”, sempre relegati nel poco tempo libero che ci rimane, come avessero una priorità più bassa. Eppure sono le cose che rendono le nostre giornate degne di essere vissute.
Quando mi sono licenziato dal posto come ingegnere e sono finito a fare il programmatore nomade, o quando poi ho iniziato a scrivere, non ho fatto altro che ridurre la quantità di labor e aumentare l’opus.
Non “lavoro” meno adesso, anzi. Ci sono giorni in cui mi alzo, mi metto al computer, spengo il computer e torno a dormire, ma percepisco quello che faccio sempre meno come una costrizione esterna. Non è sempre tutto perfetto, ovviamente, ma lo faccio perché mi va.
Si sente dire spesso “ama quello che fai, e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Bello, ma mi sentirei di aggiungere una postilla. Questa frase suona bene in uno status facebook, ma molte persone la interpretano come: “sforzati di amare quello che fai, anche se non ti piace.” In altre parole, accontentati e fattelo andare bene.
Io preferisco il cambiamento alla rassegnazione, e scelgo di interpretarla così invece: “trova un’attività che ami fare e che ti mantenga ma che allo stesso tempo non percepisci come sofferenza, e allora potrai davvero dire di non aver lavorato un giorno della tua vita.”
Quando parlo del mio futuro dico sempre, anche in modo un po’ provocatorio, che vorrò lavorare il meno possibile. Mio padre, spinto da buone intenzioni ma proveniente da una generazione in cui queste sottigliezze non erano nemmeno prese in considerazione, commenta sempre: “eh, ma qualcosa bisogna pur fare, non si può oziare e basta”.
Nemmeno io parlo di ozio! Avrei capito ben poco della vita se spendessi il tempo tolto al labor per starmene seduto sul divano a guardare la tv. Cerco solo di ridurre al minimo le costrizioni e le necessità a cui pensare, per dedicare tutto il mio tempo ad attività scelte da me, spinto dal solo desiderio di farle.
Scriverei senza preoccuparmi di vendere, canterei senza preoccuparmi di essere intonato, reciterei per il gusto di divertire. Chi lo sa, forse aprirei un piccolo chiosco in riva al mare, dove preparare cocktail alla frutta e cucinare un paio di piatti, giusto per quei pochissimi clienti curiosi di sentire la mia storia, un posto in cui invecchiare sereno, mezzo artista e mezzo filosofo.
Non sarebbe meraviglioso?
PS: anticipo una domanda che mi verrà fatta di sicuro: questo è un sogno che si può realizzare, non è impossibile. Magari in un altro articolo parlerò del come intendo riuscirci.
Photo by Hernán Piñera
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“