Suonano il campanello: è Brett.
Esco di casa in un pomeriggio grigio e umido per aprire il cancello a un ragazzo alto e asciutto, biondo, con un sorriso smagliante nonostante quella che immagino sia stata una giornata faticosa: questa mattina era in Austria.
Viene avanti spingendo a mano una bici, un oggetto robusto, appesantito da quattro borse piuttosto grandi, ma non quanto avrei potuto aspettarmi.
Sorridente, mi investe con una raffica di parole in italiano approssimato, come se stesse cercando di far mostra della sua recentissima conoscenza della mia lingua. Ma Brett non vuole impressionarmi: è solo incredibilmente curioso, ansioso di imparare, ed entusiasta all’idea di mettersi alla prova anche con un estraneo come me.
Non ci siamo mai visti prima, io e Brett, ma abbiamo un amico in comune che ci ha messi in contatto. Ho persino dormito dai suoi genitori, a Nelson, Nuova Zelanda, ma lui non era in casa.
Ha 29 anni. Laureato in ingegneria meccanica, dopo tre anni di lavoro come project manager in una importantissima compagnia che lavora con l’alluminio, si accorge che qualcosa non va bene. Inizia a leggere qualche libro, di quelli che fanno riflettere. Si immagina sempre più spesso a vivere qualche avventura. Due anni dopo arriva la svolta: passa un breve periodo come volontario presso il Dipartimento di Conservazione, praticamente un guardiaparco. In quell’ambiente incontra gente che vive con poco ma è felice di quello che fa. Quando ritorna al suo ufficio, in un contesto competitivo dove la gente guadagna moltissimo ma odia la propria vita, non resiste più di altri due mesi, e si dimette.
Un po’ di necessario assestamento emotivo, poi parte. Prima tre mesi nel sudest asiatico, e poi la grande avventura: nove mesi di bicicletta, da Faros, Portogallo a Istanbul, Turchia. Quando arriva a casa mia sono già passati sei mesi sul calendario e 12000 km sotto le ruote.
“Perché Istanbul?”, gli chiedo.
“Perché mi sembrava una destinazione abbastanza esotica per finire un’avventura. Suona bene!”
Non fa una piega.
“Come hai deciso di girare l’Europa in bici? Voglio dire… Io conosco bene la sensazione che si prova dopo aver mollato tutto: credi di trovarti in una congiuntura unica e irripetibile di eventi, e che quella sarà la tua unica e ultima possibilità per fare qualcosa di eccezionale, che hai sempre sognato. Quindi, come mai la bici e come mai l’Europa?”
“Le gente in Nuova Zelanda è abituata a spostarsi, e l’Europa è sempre stata considerata quasi come un sogno. Molti si trasferiscono per andarci a lavorare. Io, però, non volevo lavorare, volevo un’avventura! Ho già un po’ di esperienza in fatto di mountain bike e cicloturismo, anche se con viaggi molto più corti, quindi la scelta è avvenuta spontaneamente.
In seguito il viaggio è diventato più un’esperienza culturale che un avventura: ho iniziato ad apprezzare il fatto di poter conoscere gente nuova ogni giorno, nuove culture, nuove tradizioni. La passione per il formaggio mi è venuta in Francia, per esempio. Amo i piccoli paesi, che raccontano una nazione meglio di come farebbe una grande città.”
Prosegue spiegandomi come ha scelto il tragitto, cercando di seguire il corso delle stagioni in modo da trovarsi nell’Europa del Nord durante l’estate, e a sud durante le mezze stagioni. Quindi Portogallo, sud della Spagna e Francia in primavera; poi Inghilterra, Irlanda e Scozia in estate; Olanda, Germania, Svizzera e infine Italia in autunno. Il viaggio proseguirà per l’Albania, la Grecia e la Turchia, fino alla metà finale, Istanbul.
Nel frattempo, seduti al bancone della mia cucina, continuiamo ad assaggiare da un tagliere di almeno una mezza dozzina di formaggi differenti, a parlare di vino, di olio d’oliva, di modi di preparare il caffè. Il cibo italiano è forse uno dei miei argomenti preferiti con gli stranieri, nonostante io sia tutt’altro che un esperto. Forse sono io che cerco di impressionarlo, raccontando la varietà, la cura per i dettagli, e la lunga tradizione della nostra cucina.
E lui ascolta sempre con attenzione, scrivendo note su fogli di carta con una calligrafia sottile.
Non ho mai conosciuto nessuno così curioso di imparare. La cosa buffa è che quei formaggi è andato a comprarli lui stesso, dopo aver passato un intero pomeriggio a informarsi su internet su quali siano le varietà locali più interessanti. Mi ero offerto di aiutarlo al supermercato, ma ha preferito andarci da solo, dopo essersi assicurato di saper pronunciare correttamente le parole “buongiorno”, “grazie”, “arrivederci” e “duecento grammi”.
Il giorno prima invece eravamo seduti in una vecchia osteria di Venezia, mangiando “cicchetti” davanti a un calice di Refosco.
“Sei mesi sono tanti, e te ne mancano altri tre. Ti manca casa?”, gli chiedo, ma credo di sapere già la risposta.
“Mi manca la Nuova Zelanda, soprattutto il suo lato naturale e selvaggio che ho imparato ad apprezzare molto di più dopo essere stato qui in Europa, però non ho fretta di tornare. Anzi, il prossimo anno mi trasferirò in Canada. I kiwi (abitanti della Nuova Zelanda, NdWil) sono abituati a viaggiare. Mi manca la mia famiglia e la mia casa, certo, ma è solo un ambiente familiare e accogliente in cui è bello tornare. Non mi vedo a vivere lì per sempre.”
“A proposito di famiglia e conoscenze varie, a casa ti hanno sostenuto nella scelta di mollare il lavoro?”
“Gli amici non moltissimo, i genitori invece si. Anche loro hanno viaggiato molto in passato, e hanno capito. Mi hanno salutato con un ‘va a fare un po’ di esperienza in giro per il mondo'”
“Qui in Europa, invece, come te la sei cavata?”
“Bene! La quasi totalità delle persone che ho incontrato sono state assolutamente amichevoli con me, in tutti i paesi che ho visitato fin’ora. Se proprio insisti (e stavo insistendo, NdWil), ho avuto solo la sensazione che in Germania fossero un po’ più severi nel rimproverarmi se facevo qualcosa di sbagliato lungo la strada, e a Parigi ho incontrato la maggiore difficoltà a muovermi tra le piste ciclabili, invase da pedoni che non si spostavano mai. Ma non direi che mi sono trovato male.”
“Dove hai dormito, in tutti questi mesi?”
“Molte volte in campeggio, e altrettante volte da persone che ho contattato tramite Warm Shower (è un servizio di ospitalità simile a Couchsurfing ma dedicato ai ciclisti, NdWil). Più di qualche volta ho campeggiato all’aperto, cercando di nascondermi in qualche bosco, e poche volte in ostello. Ad ogni modo all’inizio del viaggio ho cercato di incontrare troppe persone, ma è diventato faticoso dopo un po’: richiede troppa energia. Adesso voglio cambiare diminuendo un po’ la frequenza degli incontri, ma contemporaneamente voglio mettermi alla prova in cose che non ho ancora fatto. Per esempio, inizierò a chiedere a completi sconosciuti se posso mettermi con la tenda nel loro giardino o nei loro campi.”
Sorrido. Mi immagino già questo ragazzo dall’italiano stentato che si avvicina entusiasta a qualche contadino veneto, e gli chiede di dormire nei suoi campi. Non ho proprio idea di quale potrebbe essere il risultato!
“Hai avuto problemi più gravi? Ti sei mai sentito in pericolo?”
“No. La cosa più grave che mi è successa è un piccolo furto di contante in un ostello in Germania. Seccante, ma nulla di più.”
“Senti, qualcuno mi ha chiesto di chiederti un po’ di dettagli sul viaggio. Come ti organizzi, come decidi le destinazioni, cosa ti porti dietro… sai, quelle cose lì.”
“Ah, viaggio con poco. Ho quattro borse belle resistenti e impermeabili, e il minimo indispensabile di vestiti. Un tablet, un cellulare, una macchina fotografica compatta (una Canon S95, NdWil). Anche un fornelletto: l’ho scelto a benzina così non avrò problemi nei posti meno attrezzati. Cucino spesso: mi piace, ed è un modo per risparmiare. Mangio poco e spesso, bevo molto. Come ti ho detto il piano principale è stato scelto in base alle stagioni, poi lo adatto sulla base delle esigenze del posto, o se devo incontrare amici lungo il percorso. Mi riposo nei giorni in cui vado a fare “cose turistiche”, come oggi a Venezia, pedalo negli altri. Non c’è altro di particolare.”
Il mattino dopo, senza fretta, prepara il bagaglio, si infila nella tuta da ciclista, e si prepara a ripartire. Ci salutiamo, ci facciamo un paio di foto ricordo assieme e lo accompagno in strada.
“Senti Brett. Tra le persone che leggono quello che scrivo, ce ne sono sicuramente un sacco che amano l’idea di viaggiare, magari anche di mollare tutto e fare qualcosa di simile a quello che stai facendo tu. Se avessi la possibilità di dir loro qualcosa, una frase finale, cosa diresti?”
Lui ci pensa un attimo, e mi dice: “The more you experience, the more you become.” (*)
Un ultimo abbraccio, la promessa di rivederci da qualche altra parte nel mondo, prima o poi, poi inforca la bici e parte, direzione sud.
Buona strada, Brett.
(*) in inglese suona molto bene, in italiano un po’ meno. Io lo tradurrei in: “Più cose vedi, più grande diventi”. Mi è stato proposto anche: “Più sperimenti, più diventi”. Accetto consigli per traduzioni migliori, NdWil
Se siete interessati alle avventure di Brett, potete guardare il suo blog, che aggiorna quando ha tempo.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“