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La metafora del cavatappi

Tempo di lettura stimato : 5 minuti

Un giorno un ragazzo mi rivolse una domanda temibile. “Qual è lo scopo della vita, secondo te?” Io ne scrissi la risposta. Riguardava un cavatappi.

cavatappi-wandering-wil-2Un giorno di cinque anni fa un ragazzo che incontrai in un tempio in Thailandia mi rivolse una domanda temibile.

“Qual è lo scopo della vita, secondo te?”

In un irripetibile lampo di autentica illuminazione, io scrissi la risposta sul mio diario di viaggio, e la mia vita cambiò per sempre. 

Riguardava un cavatappi.

In questo articolo voglio condividere quella risposta con voi.


“Qual è lo scopo della vita?”

Porsi questa domanda troppo presto non ha senso. Nasciamo con una coscienza potente, ma limitata. Non abbiamo abbastanza conoscenza per rispondere.

È come se una persona ci mostrasse un oggetto, avvolto in un pezzo di stoffa che ce lo nasconde, e ci chiedesse: “a cosa serve questo?”.

Come possiamo saperlo? Potremmo provare a indovinare, ma non ci riusciremmo mai. Se davvero vogliamo rispondere a quella domanda, il primo passo è prendere l’oggetto in mano, togliergli la stoffa di dosso, e guardarlo nella sua interezza. 

Supponiamo che sia un cavatappi, di quelli che si usano per estrarre i tappi di sughero dalle bottiglie di vino.

Facciamo un piccolo sforzo di fantasia: immaginiamo di non aver mai visto né sentito parlare di un cavatappi in tutta la nostra vita. Siamo dei primitivi, o degli alieni, quindi non sappiamo niente di quell’oggetto.  Inoltre, ignoriamo del tutto anche l’esistenza delle bottiglie e dei tappi di sughero.

In queste condizioni ci troviamo con un cavatappi tra le mani, ma niente di quello che conosciamo ci fa immaginare il suo utilizzo. Che fare?

Da persone ragionevoli quali siamo, cominciamo a osservarlo meglio, a toccarlo, a interagire con esso. Alziamo e abbassiamo le braccia laterali, ma ancora nessuna idea. Di sicuro l’oggetto non è fatto per volare.

Iniziamo a guardarci in giro. In cerca di ispirazione, sbatacchiamo il nostro cavatappi sul tavolo o contro il muro, ma senza risultato. È un oggetto troppo complicato solo per far rumore.

Ad un certo punto troviamo un bicchiere pieno d’acqua. Potremmo usare il nostro oggetto misterioso come un cucchiaio?

Proviamo…

No, non funziona: è decisamente scomodo.

Questo è comunque un indizio! Se trovassimo un bicchiere di latte o di birra, potremmo evitare di perdere tempo a provare: ormai sappiamo che il cavatappi non funziona granché con i liquidi.

A guardare bene però, il tavolo su cui è appoggiato il bicchiere è fatto di legno. E se quella piccola spirale appuntita fosse una sorta di meccanismo di perforazione, una specie di trivella?

Proviamo…

Avvito il cavatappi sul tavolo, le braccia laterali si alzano, ma… no, qualcosa non quadra. La piccola spirale serve senza dubbio a forare, ma non tavoli.

Questo sì che è un buon indizio: adesso possiamo concentrarci solo sugli oggetti che si possono forare in qualche modo.

Ora, allontaniamoci di corsa, prima che il proprietario del mobile si accorga del buco…

Proseguiamo in questo modo, a volte con tentativi casuali, a volte guidati dai fallimenti o dai parziali successi precedenti. Nel frattempo raccogliamo sempre più indizi, e stringiamo il cerchio.

Ad un certo punto, scopriamo l’esistenza di una bottiglia. C’è del liquido dentro, ma un oggetto ne blocca l’uscita: un tappo.

Proviamo…

Io credo che sarei molto emozionato a questo punto, voi no?

La trivella penetra nel sughero con facilità e le braccia laterali si alzano.

Ottimo, ora abbassiamo le braccia lentamente, e… stappiamo la bottiglia!

Il liquido profumato all’interno è ottimo vino, ed è finalmente nostro!

Ecco cosa abbiamo avuto in mano per tutto questo tempo! Un “meccanismo atto all’estrazione dei tappi dalle bottiglie”! Un cavatappi, appunto. Perché chiamarlo “cavatappi” se non servisse a togliere tappi? Era così semplice, una volta capito…

Ora possiamo finalmente rispondere alla domanda che ci era stata fatta: “qual è lo scopo di questo oggetto?”

La conoscenza acquisita sul cavatappi e sulle bottiglie ci ha fornito sia vino che risposta.

A questo punto, direi che un brindisi è d’obbligo.

Cos’ha questo a che fare con la vita o la felicità?

Quando qualcuno vi chiede qualcosa come: “qual è il senso della nostra vita” o “qual è la nostra Felicità” (che per me è la stessa cosa), e come se ci avesse appena chiesto lo scopo di quel cavatappi, di cui ignoriamo tutto o quasi.

Quel cavatappi rappresenta la nostra vita. 

Allora per prima cosa prendiamola tra le mani, togliendola da quelle altrui, in modo da poter manovrare in libertà.

Spogliamola della “stoffa” che la ricopre: i pregiudizi e le paure… tutto ciò che non ci appartiene e che ci offusca la vista.

Ora osserviamola, soppesiamola, analizziamola. Cerchiamo di sapere tutto il possibile su noi stessi: in pochi possono dire di avere una conoscenza di sé davvero profonda.

Infine, interagiamo con quello che ci circonda alla ricerca di “indizi”, come il bicchiere d’acqua o il tavolo di legno. Si tratta in sostanza di sperimentare cose sempre nuove e sconosciute. Questo è ovvio: se la risposta mancante non è in quello che conosciamo, allora deve essere in quello che non conosciamo.

Potremmo iniziare un corso, fare un viaggio, conoscere gente nuova, cambiare abitudini, provare a realizzare un vecchio sogno. Vanno tutti bene, l’importante è vedere come reagiamo di fronte a queste novità, per capire se ci sono indizi per noi, buoni o cattivi che siano.

Cosa sono gli indizi “buoni” e quelli “cattivi”?

Semplice!

Un indizio “buono” è qualcosa che ci fa stare bene e che amiamo.

Un indizio “cattivo” è qualcosa che ci fa stare male e che odiamo.

Per essere felici nella vita bisogna coltivare i primi, e allontanare i secondi. Lo dice anche il Dalai Lama (nel libro “L’arte della felicità”).

Un esempio?

Io amo la natura, la vita semplice e rilassata, la buona compagnia. Invece odio il traffico, il rumore, il materialismo, la falsità.

Questo mi dice che per stare bene devo vivere in un piccolo paese tranquillo, fare un lavoro non stressante, meglio se a contatto con la natura, e circondarmi solo di amici sinceri.

Ignorare gli indizi, e fare il contrario di quello che ci indicano, è dannoso per noi stessi e la nostra salute. In passato sono finito come uno stupido a lavorare in fabbrica, e mi sono stressato fino a star male. Che sorpresa, vero? In pratica stavo insistendo a usare il mio cavatappi come se fosse un cucchiaio: non funziona e non funzionerà mai, non importa quanto ci si prova!

Cosa fare con gli indizi trovati?

Una volta trovato un indizio, dobbiamo seguirlo il prima possibile. Forse si tratterà di cambiare lavoro, di tagliare qualche rapporto e cominciarne altri, o semplicemente di cambiare qualche abitudine giornaliera.

Seguire gli indizi migliorerà fin da subito la nostra serenità (lo dico per esperienza personale), aumenterà le possibilità di svelare altre informazioni, e ci avvicinerà di un passo alla meta: la nostra bottiglia. 

Un giorno la troveremo. A quel punto non ci resterà altro da fare allora che stapparla, e godere, finalmente, del nettare della nostra scoperta.

Avremo trovato la nostra Felicità.

Proprio in quel preciso momento, e solo allora, avremo anche risposto alla domanda: “qual è lo scopo della vita?”.

Ecco perché non aveva senso che quel ragazzo mi chiedesse una cosa del genere, il 6 Marzo del 2010. Che ne potevo sapere io della vita o della felicità, allora?

La più grande intuizione della mia vita, non mi ha rivelato quale fosse lo scopo della mia esistenza o di chiunque altro, ma mi ha fatto comprendere una verità molto più importante.

Qualunque sia lo scopo della vita, c’è solo un modo per scoprirlo: cercarlo.

TWITTAMI

La “metafora del cavatappi” è la conclusione de “Il tempio, il libro e la domanda“, un racconto breve sugli eventi che mi hanno portato all’illuminazione che mi ha cambiato la vita. Per gli amanti di quella storia: non è ancora finita, c’è un epilogo!

Il mio nuovo romanzo!

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Avventura | Mistero | Riscatto

“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“

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Sulla Strada Giusta

Il viaggio è negli occhi, nel cuore e nella testa, e non finisce mai.

Da una scogliera a picco sul Mar Glaciale Artico, un uomo respira finalmente la libertà. Intorno ha solo il silenzio e davanti l’orizzonte, infinito e limpido. Appena qualche mese prima non l’avrebbe mai creduto possibile. Aveva trentun anni e un lavoro stabile: il sogno di molti, ma non il suo. Così un giorno ha detto basta e si è messo in cammino su sentieri sconosciuti, per cercare una risposta ai confini del mondo, senza ancora sapere se quello alla vita di prima sarebbe stato un arrivederci o un addio. Dal Sudamerica a Budapest, dall’India alla Scandinavia, tra paesaggi mozzafiato e momenti di intima condivisione, Francesco vive esperienze inattese che gli mostrano chi è davvero, un giorno dopo l’altro. Lontano da casa o tra la propria gente, l’importante è mettersi in gioco. Dopo il successo del blog Wandering Wil e i tantissimi lettori incontrati in Rete, Francesco Grandis è riuscito nell’impresa di pubblicare la sua storia. Sulla strada giusta è un “urlo nel silenzio” per svegliarci dal torpore della routine e ricordarci che se non insegui la felicità non avrai chance di trovarla.

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Francesco Grandis

Francesco Grandis
Francesco Grandis, in arte Wandering Wil. Vagabondo del mondo e della vita dal 2009, ma solo part time. Ex ingegnere, ex programmatore nomade, oggi scrittore, editore e padre.
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