Durante una mia breve permanenza in Brasile conobbi Mariana, una bella studentessa di musica all’università di San Paolo. Un giorno si finì a parlare di samba, e in quell’occasione mi disse una cosa che mi rimase impressa:
“La samba che viene da San Paolo è molto più triste di quella di Rio. San Paolo è una città brutta, piena di condomini, la gente pensa solo a lavorare. Rio invece è bellissima: spiagge, natura, gente solare che pensa a divertirsi e fare festa. Per forza la samba di Rio è più allegra!”
Senza saperlo, quella ragazza aveva appena fornito la prima prova empirica ad un pensiero che avevo in testa da moltissimo: l’ambiente può influenzare la serenità delle persone in un modo che NON dipende dalle persone.
Spiego meglio.
Che l’ambiente influenzi la serenità è ovvio. Già molto prima di mettermi in viaggio mi bastava confrontare un giorno passato in una zona industriale con uno in montagna. Questo lo può vedere chiunque.
Durante il mio giro del mondo, però, avevo rivisto lo stesso fenomeno su scala molto più ampia. In alcuni luoghi mi ero sentito immediatamente a casa, sereno ed accolto. In altri invece scacciato e infastidito. Spostandomi molto velocemente, tutte le esperienze erano fresche e le differenze molto evidenti, ma non sempre spiegabili.
Fino ad allora ero stato convinto che quelle sensazioni dipendessero solo da come io mi ponevo nei confronti di un determinato ambiente, invece Mariana mi fece venire il dubbio.
E se invece dipendesse ANCHE dall’ambiente stesso? Se ci fossero posti che davvero “emanano serenità” e altri che la distruggono, al punto da influenzare persino l’intera produzione musicale che proviene da lì?
Se l’intera popolazione di San Paolo è davvero più triste rispetto a quella di Rio, a chi si dovrebbe dare la colpa? A ogni singolo abitante di San Paolo o alla città stessa?
Per descrivere questo fenomeno ho coniato il termine “felicità ambientale”: quella parte di felicità che ci viene trasmessa, o sottratta, dall’ambiente che ci circonda. Per “ambiente” intendo il quadro generale: bellezza, natura, persone, clima, stile di vita…
Ora, qui ci vorrebbero sociologi e antropologi e tuttologi per verificare che io non stia dicendo una immane cazzata, ma supponiamo per un attimo che non lo sia. Supponiamo che l’ambiente abbia questo potere.
Le conseguenze sono serissime. Vorrebbe dire che non importa quanto bene stiamo con noi stessi o quanto ci impegniamo a vedere le cose in modo positivo: se viviamo in un posto “ostile”, una parte della nostra serenità dovrà essere sacrificata ogni giorno per contrastare la negatività dell’ambiente. Sarebbe come convivere con una leggera ma costante emicrania. Dopo un po’ ti ci abitui e te la dimentichi, ma quando passa ti accorgi che puoi stare meglio.
Viceversa, un ambiente positivo potrebbe lenire una parte dei nostri mali.
Certo, non basta sicuramente vivere in un posto felice per essere felici a nostra volta. Se abbiamo ancora questioni personali da risolvere, non sarà certo l’ambiente a risolverli per noi.
D’altra parte è come andare in bicicletta: per muoverci dobbiamo spingere noi sui pedali, ma non è la stessa cosa pedalare con il vento contro o a favore.
Io per esempio non amo il posto in cui vivo: clima orrendo, luoghi monotoni (con qualche eccezione), natura da cercare col lanternino, persone mediamente fredde e distaccate, traffico, un cielo che non è mai davvero azzurro, zanzare sei mesi l’anno. E ripeto sempre: questo posto è deprimente.
E se lo fosse davvero?
Avendone la possibilità, non avrebbe più senso andare a vivere in un posto più sereno, e combattere da lì le nostre guerre personali?
Non si tratterebbe di una fuga, come probabilmente i “difensori del divano” stanno già pensando, ma piuttosto di cambiare campo di gioco, in cerca di uno che ci semplifichi la vita invece di complicarcela.
È per questo che, nonostante io dica sempre che la felicità si può cercare comodamente anche da casa, viaggiare aiuta molto, quando è fatto in un determinato modo: alcune cose non si notano stando fermi sempre nello stesso posto.
L’ho sempre pensato, in fondo:
Un posto felice, magari.
Photo by Francesco Grandis
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IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“