Come scrissi nello scorso articolo, un doppio arcobaleno mi aveva annunciato l’imminente arrivo di una grande rivelazione personale.
E’ curioso che per gli Inca, “el arcoiris“, l’arcobaleno, fosse considerato il “presagio naturale” più potente in assoluto. Io non credo a questo tipo di segnali, ma sono fermamente convinto che la vita ci parli spesso con un linguaggio che non abbiamo ancora compreso del tutto.
Una delle cose che ho imparato a fare in questi ultimi anni, è costruire un profondo silenzio attorno a me, in modo da sentire quello che provo veramente, e rinforzare la volontà di agire di conseguenza.
Solo qualche settimana fa dicevo le stesse cose ad un gruppo di studenti e ricercatori dell’università di Stoccolma (in un video che è disponibile online qui)
Davanti a quelle persone dicevo che per raggiungere una felicità superiore, era necessario ascoltare cosa la vita ci diceva, e farlo.
E allora cosa ci facevo, seduto su quel molo, la testa tra le mani, a una settimana di viaggio di casa, triste? Con che coraggio potevo andare dalla gente a parlare di felicità, a dire: “seguite il vostro istinto!” quando io stesso stavo per ignorarlo consapevolmente?
Al mio ritorno sapevo con esattezza cosa mi avrebbe aspettato: una stanzina grigia, troppi cavi, troppi computer. Una scrivania a cui stare seduto troppe ore.
Una finestra su un giardinetto che è una parodia delle foreste che ho visto in questo viaggio. Ed interminabili ore a sbatacchiare le dita su quelle tastiere, a perdere tempo in qualcosa che non ha più niente da darmi, da insegnarmi.
Io so programmare, e questo è stato il mio lavoro per tanti anni, perché lo so fare bene. Ma ho già risolto ogni possibile problema, ho già trovato ogni possibile soluzione, e ho già urlato ogni possibile imprecazione nel processo.
Quando è abbastanza, è abbastanza.
E allora passeggiando su quella spiaggia bianca, i piedi immersi nel mare del nord, ho capito cosa dovevo fare.
Ho “sentito” cosa dovevo fare.
Non dovevo fare altro che ascoltare i miei stessi consigli: seguire solo la mia felicità, perché tutto il resto sono solo dettagli.
Quindi ho mollato il lavoro.
Proprio quel lavoro invidiato da tutti, quello che mi permetteva di mantenermi e contemporaneamente viaggiare, lavorando solo venti ore a settimana. La decisione è stata presa così, sulle scorrere di due grosse lacrime. L’esplosione nel cranio ha urlato il suo eco per ore, ma quando è tornato il silenzio, ho sentito chiaramente che andava tutto bene.
Sorrido.
Ho solo una pallida idea di cosa farò per mantenermi al mio ritorno, ma sto bene.
Il giorno prima tornare a casa rappresentava per me una sconfitta, un destino a cui piegavo il capo, sapendo di esserne schiavo.
Ora invece sono ansioso di arrivare e iniziare qualcosa che ancora non so cos’è.
Sono emozionato all’idea che mi metterò alla ricerca, e sono sicuro che, qualunque cosa ci sia per me, la scoprirò.
Intanto inizierò dalla seconda cosa che so fare meglio, e la farò diventare la prima: scrivere, fare foto, emozionare.
Creerò un luogo virtuale in cui la gente possa venire ad ascoltare i miei racconti, a sognare, a cercare qualcosa. Diventerò un moderno cantastorie.
Riuscirò a mantenermi in questo modo? Non lo so.
Me la caverò? Non ne ho il minimo dubbio.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“