Stamattina stavo facendo la mia solita passeggiata a passo svelto quando supero una coppia e, senza volerlo, ascolto un pezzo della loro conversazione. Lui le sta dicendo: “…adesso dovrà trovarsi un lavoro vero, non quelle cose strambe là, elettroniche, con i computer…”
Mi giro con la testa il tanto che basta per guardarli con la coda dell’occhio. Non sono coriacei anziani: lui avrà venticinque anni, lei anche meno.
Dico a me stesso che avrò sentito male, che quella frase doveva avere di certo un contesto più profondo, e che…
Che sono la persona sbagliata per sentire queste cazzate, mi va subito il sangue in acido.
Per un istante ho avuto la tentazione di fermarmi con quei giovani così moderni e dirgli un paio di cosette.
Sai, volevo dirgli, anni fa avevo anche io un amico che mi prendeva in giro perché lavoravo solo quattro ore al giorno, davanti a una di quelle cose elettroniche, e in giro per il mondo. Usava proprio le tue parole: “ma sarà mica un lavoro vero, il tuo?”
Che cazzo è un “lavoro vero”?
Immagino che per te sia minimo otto ore di vero ufficio, più una di andata e ritorno, seduti a una vera scrivania, a curvarsi davanti a una di quelle cose elettroniche, ma più vere? O in una vera fabbrica, con veri attrezzi in mano, a rischiare la salute in qualche vero processo industriale? Un vero cantiere, magari.
Povero imbecille. Siamo nel 2018, cazzo! Avrai vissuto la maggior parte della tua vita tra smartphone e internet ad alta velocità, e non hai ancora capito che oggi esistono professioni e possibilità che dieci anni fa nemmeno le avresti immaginate. Tra cinquant’anni metà dei lavori che conosci non esisteranno più, e tu sei qua a fare discorsi che non fa più nemmeno mio papà che c’ha quasi ottant’anni.
Allora, giovane sciocco, lascia che lo spieghi a te e alla tua bella fidanzatina (a proposito, piacere di conoscerla): non si lavora perché ce l’ha ordinato il medico, non si lavora “perché sì”. Il lavoro ha significato solo se ha uno scopo ben preciso: mantenersi, creare qualcosa, stare bene. Senza avere quello scopo bene in mente, il lavoro è solo una maniera molto elaborata di buttare via il tempo.
Qualunque attività che ci permetta di raggiungere quello scopo è un lavoro vero, e non importa se lo fai da dentro un furgone, sotto una palma, parcheggiato in riva a un lago, solo per due ore al giorno o a fare cose che a te sembrano strambe solo perché non capisci un cazzo.
Hai capito bene? Te lo ripeto.
Quello che importa è lo scopo del tuo lavoro, non il modo o il posto in cui lo fai.
Volevo dirglielo, giuro. Ma mi sono stretto nel cappotto e ho accelerato il passo
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Ah, a proposito. Quello in foto è stato il mio ufficio per qualche giorno, nel giugno 2013, da qualche parte in Svezia. Mi ero costruito una specie di scrivania sul lato passeggero, e sotto il sedile avevo una batteria di riserva per alimentare il portatile. Ero connesso a internet con il cellulare, e con tutto il resto appena uscivo dall’auto.
“Lavoro vero”… ma vaffanculo.
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“