Terza, e per il momento ultima, risposta alle domande che mi vengono fatte più di frequente: “Ma che lavoro fai?? (per permetterti un viaggio del genere? NdWil)“.
In questo caso la domanda più corretta non sarebbe cosa faccio, ma come lo faccio.
Cosa: sono un programmatore, un lavoro piuttosto comune. Sto sviluppando da anni un’applicazione per web, di interesse per una nicchia specifica di biologi. Niente di particolare da segnalare.
Come: sono un freelancer e un nomad worker. Il freelancer è l’equivalente del nostro libero professionista, quindi non sono dipendente di nessuno, se non da me stesso. Da quando ho iniziato nel 2010, alla fine del giro del mondo, ho instaurato un rapporto di lavoro spettacolare con dei clienti americani, i quali oltre a essere dei fantastici esseri umani, mi pagano anche secondo i loro standard, cioè circa il doppio di quelli italiani.
Ora, io non sono una persona venale, e dei soldi me ne faccio poco se non ho anche il tempo di spenderli, quindi a suo tempo ho deciso di lavorare solo part-time (20 ore a settimana), tanto a fine mese mi rimane comunque l’equivalente di un rispettabile stipendio italiano.
Il vantaggio di essere freelancer però non finisce solo con il lato economico: ai miei clienti non interessa né “quando” lavoro, né “da dove” lavoro, quindi non solo mi gestisco io gli orari in assoluta autonomia, ma lavoro anche da casa. Il mio “ufficio” abituale è lo stanzino accanto alla camera da letto, che raggiungo in ciabatte. Se trovo traffico è perché ho lasciato lo stendibiancheria in corridoio.
Ma se posso lavorare da casa, chi mi vieta di prendermi il portatile, e portarlo da un’altra parte? Nessuno! In fondo mi basta solo una connessione internet, reperibile ormai in qualunque parte del mondo, visto che tutte le comunicazioni con i clienti avvengono tramite email o skype.
E qui nasce il nomad working, il lavoro nomade: dopo il giro del mondo ho fatto il mio primo esperimento a Tenerife, di due settimane. Ha funzionato benissimo, quindi subito dopo, due mesi e mezzo in Sudamerica, sempre con il mio portatile appresso. Ho lavorato da alberghi, ostelli, persino autobus e aerei… Poi Ungheria, un mese. India, due mesi. E come sapete, tra pochissimo Scandinavia, tre mesi.
Questo lavoro è per me lo strumento (quasi) perfetto, per avere i soldi, con cui purtroppo dobbiamo tutti fare i conti, ma anche il tempo di usarli e la libertà di farlo. E non a 70 anni, ma adesso! Quando sono ancora relativamente giovane, relativamente in forze, non quando potrei essere un vecchio bacucco, senza più energia o volontà da spendere! Che diamine!
Perché cosa sono i soldi, senza avere dei sogni, dei desideri, ma anche il tempo, la volontà e la libertà di seguirli? Niente… non sono niente.
“Pensate che al mondo ci sono persone così povere, che tutto quello che hanno sono i soldi”, disse una persona saggia.
Qualcuno a questo punto del racconto mi chiede sempre se non mi manca la compagnia di colleghi, o la comodità di un ufficio. No: la compagnia la trovo nei miei amici quando voglio, o negli altri viaggiatori che incontro, quindi non mi manca affatto. E non mi mancano nemmeno i telefoni che squillano, i capi stressati, i colleghi noiosi, la macchina del caffè che mi frega i soldi, il traffico, il parcheggio che non si trova… no, non mi mancano.
La comodità di un ufficio?
Questa è la foto di un mio “ufficio” a El Calafate, Argentina, dove sono stato un paio di giorni. Per voi non è abbastanza comodo?
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“