Il ritiro, per me, finì quel giorno.
Tornai alla sala di meditazione in preda all’esultanza, solo per correre di nuovo al mio lettino cinque minuti dopo, con altri pensieri, con un altro piccolo torrente di parole.
Feci andata e ritorno tantissime volte, suscitando le occhiate di rimprovero del mio maestro, ma ormai non mi interessava più.
Non volevo disturbare nessuno, certo, ma non riuscivo più a stare fermo, non riuscivo più a concentrarmi in niente. Non osavo più rinchiudere i miei pensieri in gabbia, volevo lasciarli vagare il più possibile.
Ero felice.
Le lacrime dei giorni passati erano evaporate senza lasciare traccia, come minuscole gocce di rugiada lasciate dal freddo della notte, e asciugate dal calore del giorno seguente.
Camminavo di nuovo a testa alta con un sorriso per chiunque, anche se nessuno lo vedeva. Mi sembrava di trasudare gioia dalla pelle, come emanata da un’aura luminosa e sottile.
Eppure non avevo ancora capito del tutto quello che era avvenuto. Dovetti ripensarci molte volte per apprezzare la magnificenza dell’intero disegno.
L’ho scritto all’inizio di questo racconto: ero partito per il giro del mondo seguendo un istinto che non comprendevo con la ragione. Al mio ritorno, invece, avevo compreso benissimo.
Sei mesi di viaggio per attraversare dodici paesi. Ho vissuto tantissime belle esperienze, ho imparato moltissimo su di me e sul mondo, però è stato solo turismo di qualità.
Il vero scopo di tutto quel lungo viaggio, però, era solo uno.
Trovare la risposta alla domanda sul senso della vita.
La strada per arrivarci è stata lunga: il benessere in Sudamerica, la depressione in Thailandia, l’alcool, le ragazze, il ritiro di meditazione, il libro e infine Boi e la sua domanda. Tutto è servito a indicarmi la via per il mio appuntamento con l’illuminazione.
È stato destino? Un progetto divino? Il karma? La legge di attrazione? Oppure sono stato io a giustificare a posteriori quella serie di eventi, di certo curiosi ma non statisticamente impossibili?
Non mi interessa: è solo una questione di forma. La sostanza è che quel giorno la mia esistenza è cambiata per sempre.
Qualunque sia la spiegazione, sono convinto che il mio istinto in qualche modo sapesse già tutto, prima che avvenisse. Le cose, però, non avrebbero potuto andare in altro modo. Se l’istinto avesse avuto il potere di spiegarmi cosa sarebbe accaduto, con parole semplici, avrei capito?
Qualcosa del tipo: “sai Wil, devi partire per sei mesi. Prima starai bene, poi starai male, così poi arriverai a litigare, ti daranno un libro… eccetera eccetera”.
Avrei ascoltato?
Non credo. Mi sarei dato del pazzo da solo, ecco quello che credo.
Era una cosa più facile da mostrare che da spiegare a parole, e così l’istinto ha scelto la via più semplice. Mi ha detto: “tu vai, capirai dopo”. Così è stato: sono andato, e ho capito dopo.
Certo è che da quel giorno non credo più alle coincidenze. Tutto avviene per un motivo, e non mi interessa nemmeno sapere se quel motivo lo creiamo noi o se esiste da sempre. Io sono sicuro, e non pretendo che altri condividano la mia sicurezza, che ogni evento ha per noi un messaggio. Sta a noi coglierlo, leggerlo, e interpretarlo.
Il messaggio che c’era per me negli eventi che vi ho raccontato era tanto semplice quanto importante. Io ho capito cosa volevo fare davvero della mia vita, o meglio, cosa volevo essere.
Io volevo essere felice. Tutto il resto erano solo dettagli.
I soldi, il lavoro, la carriera, la macchina, il cellulare… dettagli. Dettagli senza importanza in confronto a un obiettivo così grande e nobile come la felicità.
Al ritorno dal giro del mondo ho impostato la mia vita per seguire quella direzione, lungo la strada che la metafora del cavatappi mi aveva indicato: il nomad working, i viaggi… tutto nasce lì.
Ma questa, come si dice in questi casi, è un’altra storia…
Prima di scrivere la parola “fine”, però, c’è un’ultima cosa che va raccontata.
Quando il ritirò termino, due giorni dopo la mia illuminazione, ci fu una piccola cerimonia. Ci venne consegnato l’attestato di presenza, si parlò e si sorrise molto, e io tornai nel mondo degli esseri umani, quelli che comunicano e si guardano negli occhi.
La cosa mi sembrò un po’ strana: possibile che ce ne andassimo tutti lo stesso giorno?
Io mi ero presentato al tempio convinto di poter scegliere quanto restare. Ero entrato il primo di Marzo, mentre il mio volo per Tokyo era programmato per la mattina dell’otto. Il signore che mi aveva accolto non aveva fatto commenti o obiezioni, quindi diedi per scontato che la mia permanenza sarebbe durata sette giorni. Ad ogni modo accettai l’inaspettata festa come la giusta conclusione della mia avventura, e non feci domande.
Quando però chiesi come avrei potuto rimanere in contatto con il tempio, il maestro mi disse che avrei trovato l’indirizzo email nella brochure.
“Quale brochure?”, chiesi, “Io non ho nessuna brochure”.
Il maestro alzò lo sguardo su di me, perplesso. “Scusa, ma come hai saputo del ritiro allora?”
“Di che ritiro? Io sono venuto qui da solo!”
Scoprii due cose.
Primo: in quel periodo molti templi, aperti durante l’anno anche ai visitatori, restavano chiusi per una festività buddista, qualcosa a che fare con la luna piena, se non ricordo male. Il Wad Mahathat era uno dei pochi templi che rimaneva aperto anche in quel periodo, ma solo per una settimana.
Secondo: la settimana in cui il Wad Mahathat era aperto per le normali attività andava dal primo al sette marzo. Esattamente i giorni che avevo a disposizione io, né uno di più, né uno di meno.
No, non credo più tanto alle coincidenze.

Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“