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Il tempio, il libro e la domanda. Parte sesta: Visioni e Disgusto

Tempo di lettura stimato : 3 minuti

L'universo lavora in modi davvero sorprendenti: se la visione di stamane serviva a far restare me, il mio disgusto è servito a far restare... qualcun altro.

life3 Marzo 2009. Giorno 115.

Questa mattina è accaduto davvero qualcosa di inaspettato.

Durante il secondo turno di meditazione, quello guidato dalla litania del monaco, mi abbandono a una sorta di fantasia spirituale. Stavo cercando un modo qualsiasi per ancorare la coscienza alle maree del mio respiro e lì inchiodarla, quando mi sono imbattuto in una immagine che proveniva da un posto segreto del mio cuore, uno di quegli angoli tenebrosi, protetto da cancelli e porte sprangate e fossati e cani a tre teste che sputano fuoco, per capirci. Un frammento del mio IO interiore; un pensiero legato al passato che avevo tenuto a lungo chiuso in quella segreta, senza nutrirlo, in virtù di chissà quale incapacità di vederne la purezza; una metafora di quello che ero e che sarei stato, una volta abbandonato il dolore, il pianto e la rabbia.

È stata una specie di visione conscia, così potente da ridurmi in lacrime, inaspettata e violenta come un fucilata alle spalle, benvenuta come un amico da lungo tempo perduto.

Non vedevo l’ora di raccontarlo al mio maestro, e ringraziarlo. Aveva ragione, dopotutto, qualcosa era davvero successo.

“Non hai fatto niente di quello che ti ho detto!”, mi ha rimproverato invece. “Non devi attaccarti a niente, neanche a queste cose. Non devi creare aspettative: concentrati solo sul respiro e sul passo!”

“Sono sempre stato un cattivo studente”, gli ho risposto, o almeno credo di averlo fatto. Ero troppo impegnato a sorridere e a piangere.

Quest’evento mi fa sperare che in fondo qualcosa per me, in questo ritiro, c’è davvero. Ho liberato quell’immagine dalle catene, mi sono tolto un peso dall’animo, e mi sento già molto meglio. Ho trovato un motivo e la determinazione per proseguire questo strano viaggio dentro me stesso.

La noia, comunque, non fa nulla per essere meno micidiale.

L’unica occasione di quasi ilarità durante le giornate è data dai due pasti.

Sempre in rigoroso silenzio, ci mettiamo tutti in fila a prendere prima i vassoi, e poi a servirci dalle grosse pentole di cibo che alcune signore calve, credo siano suore laiche, preparano per noi.

Se la parte più sostanziosa della nostra alimentazione giornaliera è sua maestà il riso bianco, scondito e praticamente privo di alcuna proprietà organolettica, il sapore è invece fornito con grande intensità e ricchezza di sfumature (che oscillano tra l’allarmante e il “chiamate il pronto soccorso, vi prego!”) da una varietà di piatti a base di verdura e molto, molto speziati.

La maggior parte di essi non è piccante, ma i sapori sono così intensi da far girare la testa, o da muovere gli organi interni in un modo che non è previsto dal costruttore. Il trucco sta nel miscelare in ogni cucchiaiata una buona quantità di riso dal sapore cartaceo con una misurata porzione di queste bombette di sapidità, inghiottire tutto, e sperare di aver fatto i conti giusti.

Il fatto è che questo cibo è subdolo: non riesco mai a capire dall’aspetto o dal profumo che sapore possa esserci dentro questo o quell’altro pentolone, e non posso chiedere per rispetto del silenzio. Ciò che sembra buono è orrendo, e ciò che sembra orrendo è squisito. Al pasto successivo cerco di giocare d’anticipo, riempiendo il vassoio con grandi quantità di cibo che sembra orrendo, ma quei piatti sono più buddisti di me, e intuendo la trappola, tornano a essere proprio quello che sembrano.

Quello che mangio però, come tutto il ritiro del resto, mi è offerto a titolo gratuito, comprato con le offerte dei fedeli. Ne ho fatto quindi un principio di orgoglio personale quello di non sprecare niente, mangiando tutto fino all’ultimo chicco di riso, a costo di trattenere i conati di vomito, cosa che non avviene così di rado come avrei sperato.

L’universo lavora in modi davvero sorprendenti a volte: senza che io lo sapessi mi ha preparato un appuntamento proprio per domani, in questo tempio, e se la visione di stamani è servita a far restare me, il mio disgusto per il cibo è servito a far restare… qualcun altro.

“Il tempio, il libro e la domanda” è un racconto breve diviso in puntate. Segui il link per leggerle tutte!

Photo by Sundaram Ramaswamy

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“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“

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Sulla Strada Giusta

Il viaggio è negli occhi, nel cuore e nella testa, e non finisce mai.

Da una scogliera a picco sul Mar Glaciale Artico, un uomo respira finalmente la libertà. Intorno ha solo il silenzio e davanti l’orizzonte, infinito e limpido. Appena qualche mese prima non l’avrebbe mai creduto possibile. Aveva trentun anni e un lavoro stabile: il sogno di molti, ma non il suo. Così un giorno ha detto basta e si è messo in cammino su sentieri sconosciuti, per cercare una risposta ai confini del mondo, senza ancora sapere se quello alla vita di prima sarebbe stato un arrivederci o un addio. Dal Sudamerica a Budapest, dall’India alla Scandinavia, tra paesaggi mozzafiato e momenti di intima condivisione, Francesco vive esperienze inattese che gli mostrano chi è davvero, un giorno dopo l’altro. Lontano da casa o tra la propria gente, l’importante è mettersi in gioco. Dopo il successo del blog Wandering Wil e i tantissimi lettori incontrati in Rete, Francesco Grandis è riuscito nell’impresa di pubblicare la sua storia. Sulla strada giusta è un “urlo nel silenzio” per svegliarci dal torpore della routine e ricordarci che se non insegui la felicità non avrai chance di trovarla.

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Francesco Grandis

Francesco Grandis
Francesco Grandis, in arte Wandering Wil. Vagabondo del mondo e della vita dal 2009, ma solo part time. Ex ingegnere, ex programmatore nomade, oggi scrittore, editore e padre.
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