Quando in passato mi sono chiesto come si possa riuscire ad abbandonare un progetto in cui si siano investiti interi anni della propria esistenza, la risposta mi è giunta da un contesto piuttosto inusuale: il poker.
Era il 2008, l’anno precedente alla decisione di abbandonare la mia “prestigiosa” posizione da ingegnere. Io e un gruppo di amici avevamo l’abitudine di trovarci un paio di volte al mese per giocare a Texas Hold’em, il poker texano. Solo una serata in compagnia, un paio di birre e niente soldi sul tavolo. Niente di serio, insomma.
Dopo qualche partita mi resi conto di essere una schiappa, e pur non avendo niente da vincere o da perdere, cercai di migliorare le mie strategie. Leggendo un libro sull’argomento, mi imbattei in un capitolo in cui l’autore spiegava cosa distingueva, secondo lui, un campione da un perdente.
Non era questione di fortuna, tutt’altro.
Il campione sa ritirarsi da una mano che non può vincere, non importa che egli abbia già puntato dieci, mille o un milione di dollari. Come ci riesce? È una questione mentale. Il campione considera i soldi che ha puntato già persi nel momento stesso in cui li ha messi sul piatto, e non li considera più “suoi”. Quando si rende conto che la sua mano è destinata a perdere, abbandona il gioco senza ripensamenti, limitando i danni.
Il perdente invece rimane “attaccato psicologicamente” alla sua puntata. Entrerà in un circolo mentale vizioso, e pur di riprendersi ciò che considera ancora suo, continuerà a rischiare sempre più soldi finendo per perdere tutto.
Questa immagine è stata illuminante per me.
Nella nostra vita giochiamo continuamente a poker. Scegliamo progetti che crediamo ci renderanno felici, come un corso di studi, un lavoro, un fidanzato o una casa, e su di essi investiamo anni interi della nostra esistenza. Poi un brutto giorno, ci capita di fare la terribile scoperta. Ci siamo sbagliati: abbiamo puntato sulla mano sbagliata, non possiamo vincere! Sul piatto però ci sono tutti quegli anni, ormai, come possiamo lasciarli andare?
Se ci facciamo prendere dall’illusione di poterli recuperare, finiamo per aggiungerne altri ancora, nella speranza di una vittoria a sorpresa. Ma questo non cambierà le sorti della partita. Se la mano è destinata a perdere, quando ci alzeremo dal tavolo avremo le tasche vuote.
Meglio allora gettare il prima possibile le carte perdenti e aspettare una mano migliore. Abbandonare gli anni che abbiamo già investito è brutto, profuma di sconfitta, ma l’attaccamento ad essi ci può solo trascinare ancora più in basso.
Lamentarsi è inutile. Forse la vita ci ha fatto sedere a un tavolo difficile, ma non dovremmo mai dimenticarci che in fondo le carte con cui giocare, quasi tutte, siamo noi a sceglierle.
PS: comunque, per la cronaca, a giocare a poker sono rimasto una schiappa…
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“