Sette anni fa mi trovavo in vacanza in Canada: due settimane di campeggio itinerante tra i parchi naturali delle Montagne Rocciose. Indimenticabile.
Un giorno, durante una delle varie escursioni, arriviamo ad un punto di osservazione dei salmoni selvaggi: un pontile di legno affacciato sull’ansa di un largo torrente, con qualche rapida in vista. Durante il periodo di migrazione, è possibile vedere da lì quei grossi pesci saltare, mentre risalgono l’impetuoso corso d’acqua. Una specie di attrazione turistica, insomma.
Confesso la mia ignoranza, ma io i salmoni prima di allora li avevo visti solo a fettine sottili, affumicati. Magari sul sushi. Vivi, mai.
Sono stato un po’ sorpreso dalle loro dimensioni: sono pesci decisamente notevoli. Pensate (mi sono documentato per colmare le mie lacune) che il Salmone Reale, la specie più grande, può arrivare al metro e mezzo di lunghezza e ai sessanta chili di peso!
Quello che conoscevo già, però, e che mi ha sempre affascinato, è il loro ciclo vitale.
I salmoni selvaggi nascono tutti nella parte alta di un fiume, dove l’acqua è fredda e poco profonda, poi lentamente ne scendono il corso, impiegando anche uno o due anni. Arrivati in prossimità del mare, aspettano che il loro corpo si adatti alle nuove condizioni, in particolare all’acqua salata, poi spesso si riuniscono in banchi e affrontano l’oceano, in cui si addentrano anche per migliaia di chilometri.
Passa qualche anno, poi un giorno si svegliano, e si accorgono che in loro è nato l’irresistibile desiderio di riprodursi (niente battute per favore, è natura!)
A quel punto inizia qualcosa di incredibile in loro. Il corpo inizia a trasformarsi, soprattutto quello del maschio: i fianchi assumono una colorazione rossastra, il dorso si irrigidisce fino a creare quasi una gobba, e la mascella si ingrandisce al punto da impedire alla fauci di chiudersi, rendendo impossibile nutrirsi.
Completamente digiuni, cominciano il lento ritorno verso il loro luogo di nascita, una migrazione che li riporterà nello stesso tratto dello stesso fiume che avevano abbandonato anni prima.
Riattraversano quindi l’oceano, orientandosi con il campo magnetico terreste e con il sole (questa è l’ipotesi dei ricercatori), poi distinguono la foce del fiume in cui sono nati con l’olfatto sensibilissimo. Riconoscono l'”odore di casa”, in pratica.
A quel punto inizia la parte più dura del viaggio: con i maschi sempre a digiuno, i salmoni nuotano controcorrente per centinaia di chilometri, anche migliaia nel caso dei fiumi più lunghi, e giunti alla parte alta, iniziano a risalire rapide e cascate, in cima alle quali rischiano anche di trovare predatori affamati, come gli orsi, in attesa di un pasto molto calorico e saporito che salti letteralmente loro addosso.
Una volta arrivati a destinazione, sempre se ci arrivano, si riproducono, generando finalmente un nuovo ciclo di vita e di migrazione. La missione è infine conclusa. I maschi, stremati dal viaggio, dalla fatica e dal digiuno, muoiono quasi tutti.
E qui arrivo io, affacciato su quel pontile a guardare questi pesci formidabili e determinati mentre saltano le rapide.
L’unico modo che hanno per risalire una cascata è quello di spiccare un balzo enorme alla cieca, nuotando contro la corrente violentissima. Quando sono fortunati e cadono nell’acqua fonda, dove la corrente è meno forte, possono proseguire. Quando non lo sono, atterrano su un sasso, o dove la corrente è troppo forte o l’acqua troppo bassa, e vengono respinti indietro.
Mi ricordo uno di quei salmoni. Ero lì con i miei compagni di viaggio, e stavamo facevamo un tifo da stadio per lui. Aveva già saltato e fallito un paio di volte, quando con un salto enorme l’abbiamo visto cadere ancora in un punto dove l’acqua era troppo bassa e la corrente micidiale. Con una tenacia incredibile ha combattuto contro il flusso impietoso, incapace di avanzare, mentre noi lo incitavamo impazziti dal pontile.
Pochi secondi dopo è stato ributtato giù, con violenza. Una grande delusione per noi, che stavamo dalla sua parte.
Però guardando quel salmone combattere contro la corrente ho pensato ad una cosa.
I salmoni hanno una missione nella vita. Non banalizziamola dicendo che è “solo” l’istinto a riprodursi, che è qualcosa di codificato nei loro cromosomi. Loro hanno una missione nella vita, e sanno che è giusta.
Non gli interessa altro.
Attraversano migliaia di chilometri di oceano, poi risalgono i fiumi, affrontano i predatori, sfidano le correnti e le rapide, stremati dalla fatica e dal digiuno.
Quando hanno una cascata davanti la saltano, sbagliano, vengono sbattuti giù, tornano sotto e ci riprovano una, due, dieci volte, finché non ci riescono.
E dopo che ne hanno saltata una ne trovano un’altra subito dopo. E poi un’altra ancora.
E avanti così per centinaia, migliaia di chilometri, una dopo l’altra.
Magari non ci arrivano nemmeno a destinazione, magari muoiono prima di fame, di fatica, o mangiati da un orso, ma loro vanno avanti lo stesso, sapendo dentro di loro che è la cosa giusta da fare, che è la loro missione.
E alla fine dei conti, o ci riescono, o muoiono provandoci.
Io ero li, su quel pontile, a guardare quel salmone che saltava, e pensavo…
“Nella vita, dovremmo tutti essere un po’ salmoni”.
Photo by Ken Bondy
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Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“