Chi ha avuto modo di conoscermi di persona solo negli ultimi anni probabilmente farà fatica a credermi, ma prima di partire per il giro del mondo io ero una persona piuttosto timida e faticavo a socializzare con gli estranei. Solo con molto sforzo riuscivo ad avvicinarmi ad uno sconosciuto per scambiare quattro semplici chiacchiere, e anche se non mi mancava il coraggio di farlo, nell’approcciare il prossimo mi sentivo sempre impacciato e goffo.
Se l’ostello di Santa Monica mi aveva facilitato un po’ le cose, grazie ad un ambiente giovane e frequentato da persone tendenzialmente socievoli, Las Vegas non mi fece nessuno sconto. Nella città delle luci e del peccato la sensazione di solitudine divenne veramente cocente per la prima volta, spense in me il sorriso, e raffreddò buona parte del mio iniziale entusiasmo.
A contatto con quelle emozioni intime e dolorose, acquistai spontaneamente lo stile di scrittura che mi apparteneva davvero. Abbandonando la “cronaca faceta” , smisi di preoccuparmi di raccontare i dettagli che importavano più agli altri che a me, e iniziai a raccontare come mi sentivo, senza filtri.
In questo breve articolo, scritto al termine di due giorni passati a Las Vegas, getto finalmente la maschera di viaggiatore frivolo e mi riapproprio della mia identità, riflessiva e sincera. Era il il 25 Novembre 2009.
Sono a un metro dal palco dove ballerine in topless lesbicano e vampireggiano, sexy acrobate svolazzano sopra le nostre teste appese a drappi e catene, un margarita e un Jack on the rocks sul mio tavolo, musica rock a palla. Hell yeah! Cosa potrebbe volere di più un uomo?
“Sin City”, la città del peccato, è già entrata nella mia testa.
Las Vegas ti bastona con un materialismo esasperato, ti sputa in faccia sogni di ricchezza, sesso e potere, e mentre ti acceca con milioni di luci colorate che non si spengono mai, ti ha già messo le mani in tasca e ti ha fregato i soldi.
Il sessismo non è un problema: ogni uomo o donna è un oggetto. La morale non esiste: bevi, gioca, scopa.
Lungo la strip schivo decine di messicani che mi sbatacchiano davanti volantini, nel caso volessi una donna a pagamento per la notte. Entro nel primo casinò che incontro e mi perdo in mezzo al quartiere dei videopoker, popolato da strani esseri umani che non sbattono mai le palpebre, non distolgono mai lo sguardo, non sorridono, non pensano.
Scelgo un bar: metà clientela è ubriaca, l’altra metà sta guardando la scollatura della cameriera e sta per ubriacarsi.
Sono dentro un flipper, solo che ogni volta che sbatto contro qualcosa, invece di fare punti, devo spendere soldi.
E sono solo in mezzo alla folla: fossi con uno zaino pieno di dollari e un paio di amici attorno forse troverei questo posto irresistibile. Ma per come mi sento adesso, mi sembra solo di essere nel più grande marchingegno mangia soldi mai costruito dopo l’invenzione delle banche.
Smetto di rimbalzare, e torno nel purgatorio della mia stanza d’albergo insonorizzata e climatizzata. Com’è tradizione, lascerò a Vegas quello che è successo a Vegas.
Faccio i bagagli e me ne torno in paradiso.

Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“