Questo articolo inizia con un aneddoto. Quando ero ancora un programmatore di robot industriali, tanto tanto tempo fa, mi trovai a dover gestire un robot che era stato chiuso in una cella di sicurezza troppo stretta, che non gli permetteva di muoversi. Dissi allora al proprietario che andava allargata.
“Non è possibile”, mi rispose, “ormai è stata fatta.”
“Come vuole, ma il robot rimarrà fermo allora. Non ha spazio di manovra.”
“Non mi pare, il robot ci sta dentro perfettamente.”
“Lo so, ma starci è diverso che muoversi. Richiede più spazio.”
Il proprietario esitò un attimo, aggrottò le sopracciglia con fare sentenzioso, poi disse: “Non sono mica convinto.”
“Le faccio un esempio. Immagini di avere un box auto, di dimensioni normali, e di entrarci con la sua bella Audi. La parcheggia entrando con il muso, poi chiude la porta del box. Ok?”
“Ok.”
“Bene. La macchina ci sta, giusto? Ora, senza aprire la porta, immagini di girare la macchina di 180 gradi all’interno del box, in modo che adesso abbia il muso rivolto verso la porta di uscita.”
“Non si può”, rispose, non senza averci pensato un buon mezzo minuto.
“Appunto, se non apre la porta del box, non può spostare la macchina. Lo stesso vale per questo robot: ci sta, ma non ha spazio per muoversi.”
L’esitazione si fece più lunga. Mi concessi una breve speranza.
“Non sono mica convinto.”
E poi si chiedono perché mi son licenziato… ma vabbè, questa è un’altra storia.
Perché vi parlo di robot, di box auto e di stolti signori?
Perché nella vita ci circondiamo di un sacco di vincoli, che io spesso chiamo “paletti”. Sono tutte quelle cose a cui non vogliamo rinunciare. Abbiamo bisogno della macchina: un paletto. Vogliamo la sicurezza di un buon lavoro: due paletti. Non vogliamo separarci dagli amici o dai familiari: un altro paletto. Avete capito l’antifona.
Di questi vincoli possiamo dire tre cose fondamentali: rappresentano tutti (o quasi) scelte e desideri personali, nessuno (o quasi) è strettamente indispensabile per la nostra sopravvivenza, ma ognuno di essi limita in qualche modo la nostra libertà di azione.
Ad esempio la macchina richiede soldi per essere mantenuta, il lavoro sicuro magari non è quello dei nostri sogni e via dicendo. Piantare un paletto significa accettare uno scambio: cediamo una parte della nostra libertà in cambio di qualcos’altro.
Però a volte capita che mettiamo semplicemente troppi paletti e finiamo per esserne circondati. Siamo come quell’Audi nel box: ci stiamo, ma siamo bloccati dentro.
Non è che ci manca il respiro, sia chiaro, in fondo ci si potrebbe anche passare la vita, circondati da paletti. Allora sopportiamo, e nel tempo, pian pianino, ne aggiungiamo anche altri: quello delle abitudini, quello del “ormai è tanti anni che va avanti così”, eccetera.
Poi un brutto giorno ci rendiamo conto che lo spazio è davvero troppo poco, e che vorremmo muoverci da lì.
Che fare?
È qui che ci scontriamo con la fredda ma inevitabile verità, quella che blocca così tante persone.
La verità è che non ci sono alternative: vanno rimossi dei paletti. Non importa quanto ci siamo abituati, affezionati, cosa ne pensano gli altri o quanta paura abbiamo.
“Starci è diverso che muoversi”, ed è solo nostra la scelta se rimanere tutta la vita bloccati dentro il recinto che noi stessi abbiamo costruito, o romperlo per liberarci.
E voi… ne siete convinti?
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“