È stato sei anni fa, durante il mio giro del mondo. Stavo girando la Nuova Zelanda assieme al mio amico Mike, un ragazzo di Aukland che avevo conosciuto in Chile.
Una sera trovammo alloggio in uno strano ostello, come mai ne avevo incontrato prima di allora. Si chiamava “il Santuario”. Era un piccolo edificio, più simile a una grossa capanna che a una casa, e non c’era una reception.
Accanto alla porta di ingresso c’erano una serratura a combinazione e un telefono con un solo pulsante. Premendolo si chiamava il proprietario che si trovava a centinaia di chilometri di distanza.
“Vorremmo dormire qui, ma… come…?”
“Non so se c’è posto” rispose il proprietario, “suonate e date un’occhiata. La gente prenota per qualche giorno ma poi rimane sempre più a lungo. Se ci sono letti liberi restate pure quanto volete, poi prima di andarvene lasciate i soldi nella cassettina.”
Suonammo. Non c’era un cicalino ma una sottile catena che tirava una campanella dall’altro lato. Ci aprì Max, un canadese. Gli chiedemmo se c’era posto.
“Non ne ho idea, sono appena arrivato anche io.”
Entrammo a guardare. Il Santuario era composto da due stanze unite da un corridoio. Nella stanza a sinistra c’erano quattro letti a castello, per un totale di otto posti. Era molto fredda, ma le coperte sembravano calde e pesanti. Nell’altra stanza, più ampia, c’era la cucina attrezzata di tutti gli elettrodomestici più comuni, una stufa a legna, tavolo e sedie, un divano, una libreria fornita di libri in ogni lingua, alcuni giochi da tavolo e una chitarra. Al muro una enorme piantina del globo terrestre. Le ampie vetrate ci permettevano di ammirare la natura all’esterno.
Al frigo era appeso un cartello: “Benvenuti al Santuario. L’accordo è questo: io lascio i prezzi bassi, voi lasciate il santuario pulito. Buona permanenza.”
Guardai Mike. “A costo di dormire per terra, io da qui non me ne vado.”
Non ci fu bisogno di dormire per terra, c’erano esattamente due posti liberi. Gli altri sei erano per Max, il canadese, Fong e Lily, malesi, Mel, inglese, Ashley e Matt, statunitensi.
C’era qualcosa di magico, in quel posto. Ricordo di aver pensato, da bravo italiano: “Strano che sia ancora in piedi”. Chiunque avrebbe potuto entrare e portarsi via tutto, elettrodomestici, gli arredi, i libri… ma fui colpito subito dopo da un profondo senso di vergogna, come se un simile pensiero mi rendesse indegno di restare in un posto così puro, troppo sporco per lordarlo. In quella mia vergogna trovai la certezza che non avrei lasciato una briciola fuori posto prima di andarmene.
Cenammo tutti assieme. Non furono otto pasti separati, fu un pasto solo per tutti. Qualcuno aveva della carne, altri della pasta. Ci fu chi si occupò di una cosa, chi di un’altra, senza bisogno che i compiti fossero assegnati. Era tutto spontaneo.
“Dov’è finito Francesco?” chiesero.
“È fuori, sta tagliando la legna per la stufa. Ha detto che si occuperà lui del fuoco.”
Figurarsi se glielo lasciavo a qualcun altro.
“Io sono rimasto senza niente da fare” disse Mike.
“Perché non ci suoni qualcosa con la chitarra? Prima stavi dicendo che te la cavi.”
Fu una sera di storie, di viaggi, di risate, di musica. Noi otto eravamo un piccolo mondo in miniatura, ognuno proveniente dal suo angolo eppure tutti simili. Ci univa un legame semplice: il rispetto. Il rispetto per noi stessi, per gli altri, per il luogo in cui eravamo capitati a condividere un tratto della nostra vita.
Non c’era bisogno di leggi o religioni o guardiani a dirci cosa dovevamo fare o cosa non dovevamo fare, cos’era giusto e cosa sbagliato, lo sapevamo già. A ricordarcelo era bastato l’ideale di una persona lontana, tenuto vivo da un messaggio appeso ad un frigorifero.
Prima di andarcene, ognuno si occupò della pulizia del suo angolo. Io ripulii la stufa, buttai la cenere e feci scorta di legna da lasciare nel cesto accanto, pronta per il prossimo viaggiatore.
Lasciammo un po’ di soldi, pochi, nella cassettina e proseguimmo il viaggio, ognuno nella sua direzione.
Qualcuno, in seguito, mi chiese se quel posto chiamato Santuario esisteva davvero o se piuttosto non me lo fossi inventato.
“Esiste. Esiste davvero.”
“Ma dove si trova di preciso?”
“Dentro ognuno di noi.”
Il mio nuovo romanzo!
IFALIK
Avventura | Mistero | Riscatto
“Salgo sul Trono di Pietra, lascio spaziare lo sguardo
su quello che è a tutti gli effetti il mio dominio, e penso a tutte le cose che mi mancherebbero se me ne andassi o a tutte le cose che non sopporto più. Qui sono contemporaneamente libero e non lo sono. Sono un re prigioniero.“